Marina Forti: Iran. Bombe sulle elezioni

14 Giugno 2005
Sono entrate anche le bombe, nella campagna elettorale iraniana. Bombe vere e bombe immaginate, create dalle voci popolari. Quelle vere sono esplose domenica: quattro nella città di Ahwaz, nell'Iran sud-occidentale, capoluogo della provincia del Khuzestan ricca di petrolio e confinante con la regione di Bassora in Iraq. In serata poi un'esplosione ha scosso la capitale Tehran. Ad Ahwaz gli attentati hanno preso di mira il palazzo del governatore e altre sedi istituzionali, facendo 8 morti e 98 feriti di cui parecchi gravi - ieri uno di loro è deceduto. A Tehran la bomba è esplosa in piazza Imam Hossein, zona centro-sud, con un morto e tre feriti. Altre bombe - di fattura artigianale, dice la polizia - sono state disinnescate in zone centrali e molto popolari. A ieri sera il bilancio era di 10 morti. Le bombe immaginarie invece sono quelle esplose ieri sempre a Tehran: per tutto il giorno la notizia ha viaggiato di bocca in bocca, nei luoghi di lavoro, sui taxi collettivi, perfino nelle redazioni dei giornali. E il dubbio ancora resta, perché la voce è molto circostanziata: l'esplosione sarebbe avvenuta a Karaj, sobborgo popolare a sud di Tehran. In serata il ministero dell'interno ha definito la notizia infondata. Nella capitale iraniana del resto ieri circolava anche un'altra voce: che la polizia abbia picchiato le donne che domenica pomeriggio manifestavano davanti all'ingresso dell'Università di Tehran per rivendicare i propri diritti legali e sociali. In effetti la manifestazione si è svolta in modo del tutto pacifico: è vero però che agenti di polizia in divisa e uomini in borghese avevano tentato in tutti i modo di impedirla. I primi gruppetti arrivati all'appuntamento, all'ingresso del campus universitario più importante del'Iran, erano stati cacciati via in malomodo. Si erano ritirati all'incrocio più vicino, ingaggiando discussioni accese con gli agenti. Alla fine un migliaio di donne ha occupato lo spiazzo all'ingresso dell'università, e circa altrettante erano sul grande viale Enghelab (Rivoluzione), bloccato con autobus dalla polizia per non permettere ad altri di aggiungersi. Le manifestanti hanno tirato fuori striscioni e cartelli (‟Vogliamo cambiare la costituzione, siamo figlie di questo paese ma non abbiamo diritti”, ‟Vogliamo libertà e democrazia”). Hanno cantato slogans sul motivo della ballata per Sacco e Vanzetti (‟Questa è la voce della libertà, questo è il mormorio della rivolta”); hanno chiesto la liberazione di tutti i prigionieri politici: la prima protesta di donne a Tehran, dopo quelle tenute nei primissimi mesi della rivoluzione. La stampa iraniana e internazionale era presente, ma la notizia non è apparsa alla tv iraniana. E in mancanza di notizie sui media ufficiali, restano le tv straniere, internet - e le voci di strada.
Resta da capire chi sta dietro gli attentati di domenica in Iran. Non ci sono rivendicazioni, ma ieri il ministro dell'informazione Ali Yusseini ha dichiarato che alcuni attentatori sono già stati arrestati e altri sono sul punto di essere presi. ‟Hanno legami esteri”, ha aggiunto, e ha dichiarato (all'agenzia ufficiale Irna) che il governo dirà quanto prima chi sono. Domenica il governatore del Khuzestan, Mohammad Jafar-Sarrahmi, aveva accusato ‟elementi del partito Baath del deposto Saddam Hussein” e i Mojaheddin del popolo, gruppo armato d'opposizione che nei primi anni `80 si era rifugiato nell'Iraq di Saddam; oggi continua a operare dal territorio iracheno (ora sotto la discreta protezione Usa). ‟Vogliono creare paura”. Ieri il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale ha ribadito l'accusa: ‟gruppi affiliati al deposto regime di Saddam Hussein, infiltrati da Bassora”.
L'attacco dall'esterno è un'ipotesi, plausibile. Molti però suggeriscono di separare le bombe della provincia petrolifera sudoccidentale, con la sua minoranza di lingua araba e un passato (recente) di tensioni, dalle esplosioni nella capitale - perché dalla fine della guerra con l'Iraq, nell' 88, gli attentati sono evento raro in Iran.
Il ministro Yusseini ha dichiarato ieri che gli attentati di Ahwaz sono stati un lavoro ‟professionale”, mentre a Tehran erano rudimentali. Un viceministro degli interni dice che nella provincia petrolifera sono stati usati esplosivi Tnt e C4; lo stile è ‟simile ai metodi usati dall'intelligence di Saddam Hussein in Khuzestan in passato”, ha detto all'agenzia Isna (semi-ufficiale). Ma è possibile anche pensare a un evento più interno. Ahwaz e altre località del Khuzestan sono state teatro di proteste nel marzo scorso, con scontri che secondo le forze di sicurezza erano stati fomentati da forze esterne (l'ufficio della tv satellitare araba Al Jazeera in Iran era stato chiuso), ma secondo organizzazioni per i diritti umani erano la rivolta contro la discriminazione della minoranza araba, mista al risentimento per essere tra le zone tralasciate dal benessere benché vi si estragga petrolio, la prima ricchezza nazionale.
C'è dunque chi vede nelle esplosioni di Ahwaz, e tanto più quelle di Tehran, una sorta di strategia di tensione interna alla battaglia elettorale: venerdì prossimo 46 milioni di iraniani voteranno per eleggere il presidente, e mai nella storia della Repubblica islamica la competizione era stata così aperta. Le bombe - vere e immaginarie - aumentano l'incertezza.

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …