Furio Colombo: Italia, il film impossibile

20 Giugno 2005
Forse è una fortuna che nessun giovane regista italiano si dedichi alla realtà, a ciò che accade tutti i giorni nel nostro Paese come facevano un tempo Rosi, Visconti, Pasolini.
Forse è un bene che quasi tutti i giovani autori corrano a rifugiarsi in tempeste d'amore o in piacevoli caricature (con eccezioni come lo splendido film sugli immigrati ‟Quando sei nato non puoi più nasconderti”, di Marco Tullio Giordana dal libro di Maria Pace Ottieri, e il film-documento di Enrico Verra sugli immigrati a Torino).
Infatti, se qualcuno ci provasse, traendo spunto dai giornali (e da quel poco di televisione onesta che c'è ancora in Italia) metterebbe insieme un copione così assurdo, che nessun regista potrebbe accettarlo.
E se il regista fosse tentato dall'audacia incredibile degli eventi, dubito che si troverebbe il produttore. E il produttore coraggioso potrebbe vendere storie che non stanno in piedi?
Prendete il referendum sulla procreazione assistita. Un referendum si vince o si perde. Qui cantano vittoria coloro che non sono andati a votare. E tuonano sui grandi valori morali (anzi si propongono ai cittadini come i maestri di riferimento del futuro) coloro che sono riusciti a impedire, con i loro appelli e le loro intimidazioni, che i cittadini dicessero sì o no.
Come se non bastasse, dedicano sermoni quotidiani ai cosidetti laici, credenti e non credenti, ammonendo coloro che hanno scelto, coloro che sono davvero andati a votare (non pochissimi, più di dieci milioni di italiani, come ha ricordato su questo giornale Ezio Mauro) di essere privi di valori morali, di non possedere una propria coscienza etica.
Questo copione potrebbe intitolarsi ‟Astensione attiva”, che è come dire ‟la veglia del dormiente” o ‟l'iperattivismo del catatonico”.
Chi accetterebbe mai di interessarsi di una simile storia?
È vero che - appena superato il brevissimo lasso di tempo per dimenticare - ci sarà chi inviterà tutti noi a prendere atto di questa nuova Italia, dei suoi valori, e di celebrarla. Ma questo è il finale assurdo di una storia narrata a rovescio con una disinvoltura che può avere solo il potere. Ma il potere non fa film, se mai li proibisce.
Prendete la storia, le evidenze, le immagini, i dati incontrovertibili del disastro economico di cui l'Italia è sfortunata protagonista. Una prima sfida a raccontare questa storia sarebbe rappresentata dalla impossibilità di trovare un attore all'altezza di Berlusconi. Un comico con venature tragiche o un attore drammatico con guizzi di incredibile comicità, capace di rappresentare in modo credibile le molte facce toste del premier è probabilmente al di là della realtà.
Nella vera vita la stessa persona prima ammonisce i cittadini a fare la spesa come sua madre, scegliendo da un banchetto all'altro. Poi racconta che in realtà gli italiani stanno benissimo, anzi se la spassano alla grande, solo che sono disorientati e demoralizzati dalla sinistra e dal comunismo. Successivamente presenta conti falsi al controllo europeo, e quando vengono rilevate e dimostrate le sue falsità, ci ride e spergiura che non è vero, che è tutto giusto. E continua nel suo progetto di tagliare le tasse. Passano pochi giorni, le tasse non si possono tagliare, gli interessati a quelle tasse lo fischiano. Lui se ne va gridando ‟vado a lavorare per voi”, una vera minaccia. E qui riuscirebbe difficile, anche ad un buon regista, stabilire se e dove piazzare la risata. Subito dopo annuncia ai cronisti del mondo: ‟Ma quale crisi economica? In Italia il 40 per cento dell'economia è nel sommerso”. Si tratta di una accusa gravissima. Se un capo di governo straniero osasse lanciare una simile offesa all'Italia (che vuol dire ‟siete tutti ladri”) si creerebbe un grave caso internazionale. E allora che cosa pensare di un capo di governo che accusa il proprio Paese di vivere e operare nella illegalità (che, tra l'altro, danneggia tutti gli altri paesi dell'Unione Europea?) L'unica risposta adeguata l'ha data Romano Prodi: ‟Mi è venuto da piangere”.
Una comica, che è anche un film del terrore (nel sommerso fiorisce la Mafia) e del quale non si può e non si deve ridere, è una storia impossibile.
Ma anche la storia di Castelli, ministro della Giustizia che va in giro scortato dai ‟giovani padani”, si oppone alla decisione del Capo dello Stato di concedere la grazia al detenuto Bompressi, non per ragioni che riguardano quel detenuto, (un potere che spetta al Capo dello Stato) ma perché il ministro ha un pacchetto di detenuti del suo partito a cui concedere la grazia (di cui, da ministro, non è titolare), uno che non si dimette a causa della divergenza dichiarata con il suo presidente, e invece va in giro dicendo che ci sarà una grave crisi se la Corte Costituzionale riconoscerà al Capo dello Stato il diritto di concedere la grazia, anche una storia così come si fa a raccontarla, a chi affidare un ruolo così ambiguo sgradevole? Roberto Castelli - il tecnico del rumore che minaccia la Corte Costituzionale nel caso che si dichiari contraria alla sua interpretazione di un articolo chiave della Costituzione - è lo stesso ministro della Giustizia che non ferma un gruppo di pericolosi ultras che (dopo la brutta storia di un giovane di Varese ucciso da un giovane albanese, un fatto tragico di cui purtroppo la vita non è avara) vogliono farsi giustizia da soli e minacciano tutti gli immigrati del luogo in cui l'evento è avvenuto.
Il senso della dichiarazione del ministro suona così, per i suoi fans scatenati e per il Paese che ha la ventura di averlo come ministro della Giustizia: ‟È vero, gli immigrati, che noi della Lega Nord non vogliamo se non rinchiusi, sono assassini. E come assassini vanno trattati”. Col saluto romano e grida da stadio, i tifosi del ministro hanno fatto tutto il danno possibile. Episodi di teppismo possono accadere dovunque. Il nazismo e le teste rasate non sono un male unicamente italiano. Ma solo in Italia sono il referente e non il nemico numero uno del ministro della Giustizia. Avrete notato che lo stesso ministro non ha avuto niente da dire quando, il giorno dopo, un giovane immigrato albanese ha catturato da solo un rapinatore di Varese, consegnandolo alla polizia italiana.
In gergo cinematografico questa seconda piccola storia (che non ha mobilitato alcuna folla e alcun plauso di autorità italiane) si chiama ‟risvolto”. È il modo in cui, rovesciando una storia, se ne trova la morale.
Ma la morale non è cosa che possa interessare i teppisti da stadio. A quanto pare interessa poco anche il ministro di cui stiamo parlando. Lui aspetta all'angolo che qualcuno abbia voglia di cominciare il linciaggio per dire: ‟Eh, noi lo avevamo detto che finiva male, con questa gentaglia”. E fa quel che può, giorno dopo giorno di lavoro ministeriale, per incattivire e involgarire il Paese, in attesa di averla vinta sul presidente della Repubblica.
Questo non è che un breve e parziale elenco delle storie italiane che per il contenuto di follia e di assurdità (e per la vergogna che portano al Paese Italia) non possono diventare né racconti né film. Non sono credibili. Ricordiamoci però che sono la nostra vita di tutti i giorni. Il nostro dovere politico di cittadini comincia da questa constatazione. E dal progetto ostinato di rifiutare un'Italia in cui non è decoroso e anzi, per alcuni, è pericoloso vivere. Il resto dell'Europa ci guarda costernato, non perché non conosca e non patisca mali come quelli italiani. Ma perché, negli altri Paesi, i portatori di tali mali non sono parte del governo.

Furio Colombo

Furio Colombo (19319, giornalista e autore di molti libri sulla vita americana, ha insegnato alla Columbia University, fino alla sua elezione in Parlamento nell’aprile del 1996. Oltre che negli Stati …