Paolo Di Stefano: Renzo Piano rompe con Genova. “Qui non mi vogliono”

27 Giugno 2005
‟Ne gh'è ninte de fa'”. Non c'è niente da fare. ‟Se non mi vogliono, tolgo il disturbo”. Renzo Piano lascia il porto di Genova al suo destino. La questione è lunga. L’estate scorsa, l’architetto offrì alla sua città, a titolo gratuito come ambasciatore Unesco, un ‟Grande Affresco” con cui ridisegnava il volto non solo del cosiddetto ‟waterfront” ma dell’intera area urbana. Passati quasi dodici mesi, dopo gli entusiasmi della prima ora, siamo sempre lì. Con un sovrappiù di mugugni se non di resistenze. ‟ Bello, ma è un sogno irrealizzabile ‟, dicono in molti. Le resistenze più tenaci vengono dagli attuali operatori del porto (in particolare quelli legati alle riparazioni navali) che secondo il nuovo assetto dovrebbero traslocare in alto mare. Sì, perché il porto pensato da Piano prevede isole e piattaforme galleggianti al largo, in modo da liberare le coste congestionate di container.
Così, abituato a trattare con amministrazioni pubbliche e private del mondo intero, dal Giappone agli Usa, dalla Germania alla Svizzera, Renzo Piano ha perso la pazienza e ha esclamato in genovese: ‟Ne gh’è ninte de fa'”. Specie dopo aver sentito gli ultimi ‟mugugni” dell'Associazione industriali, che lamentavano di non essere stati consultati. ‟Ognuno pensa al suo giardinetto”, dice Giovanni Novi, presidente dell'Autorità portuale, anch'essa protagonista della vexata quaestio. ‟L'impressione è che, al di là delle dichiarazioni di stima a Piano, nessuno abbia il coraggio di portare avanti la cosa”, osserva il sociologo Chito Guala, che studia da anni le strategie urbanistiche di Genova. Certo, lo spostamento a mare dell’aeroporto su un’isola artificiale, la costruzione di un’altra isola per le riparazioni navali, la demolizione della sopraelevata, la creazione di un parco lineare urbano da Voltri a Nervi eccetera eccetera, insomma, i venti punti in cui è articolato l’‟Affresco”, richiedono un impegno finanziario ma anche mentale. Il giorno dopo la sua uscita, Piano parla di una ‟nuova visione di crescita sostenibile della città”. E aggiunge: ‟E’ vero che la fabbrica del porto è, e deve restare, il motore di Genova, ma non a discapito del rapporto dei cittadini con il mare”. Rimprovera agli ‟altri” di opporre alla sua una ‟non visione”, che impone il perpetuarsi di scempi, come la costruzione ( ‟indecente”) di porticcioli turistici attorno a cui far crescere casette. ‟Non si tratta di scelte o gusti diversi, ma di una visione umanistica da una parte e di una soluzione di piccolo cabotaggio dall’altra”. In realtà, il timore, inconfessato, degli attuali operatori pare quello di ritrovarsi in futuro con spazi più ampi e dunque con la concorrenza di nuovi soggetti. ‟Io non ho niente da guadagnarci - rincara Piano -, sono libero sia economicamente sia politicamente. Però, mi riconosco nelle parole di Bobbio: sono indipendente dalla politica, ma non indifferente alla politica come polis”. E per chi parla di progetto utopistico, ha la risposta pronta: ‟Quando l’anno scorso presentai l’"Affresco" a Ciampi, gli dissi: vedrà che qualcuno dirà che non si può fare. Lamia vita è costellata di cose irrealizzabili che si realizzano, dal Beaubourg all’aeroporto di Osaka”. L’‟Affresco” che ridisegna Genova dovrebbe ‟raddoppiare la fabbrica portuale, facendone uno dei centri maggiori del Mediterraneo, al pari di Barcellona”, però, sottolinea Piano, ‟insieme c’è l’idea di difendere l’urbanità della Superba, la mia città”. Una città oggi miope, la definisce. Nessun ripensamento possibile? Giovanni Novi ci conta. Ci contano anche il sindaco Pericu ( D s ) e i l neo presidente della Regione Burlando ( Ds anche lui), al quale si attribuisce un velo di riserve maggiore rispetto al suo predecessore di Forza Italia Biasotti, ma che esclude ogni dissenso: ‟L’ispirazione di fondo è condivisa da tutti. È sempre stato così, per questo l’uscita di Piano mi ha sorpreso. Certo, le richieste di chiarimento, per un progetto così complesso, sono comprensibili. Già ho chiesto a Piano di correggere alcuni punti, trovando collaborazione. Il fatto è che la città, da qui a vent’anni, deve sopravvivere. Negli anni ‘80, da sindaco, per la trasformazione del Porto Vecchio trovai le stesse resistenze da parte di enti coinvolti. Era normale allora, figurarsi adesso... È chiaro poi che i committenti siamo noi”. Intanto il sindaco Pericu si dice tanto convinto dell’‟Affresco” che minaccia di lasciare l’incarico se il progetto Piano cadesse. Tutti d’amore e d’accordo, dunque? Le condizioni ideali perché Piano torni sui suoi passi. ‟ Io - dice - lavoro solo per le persone che mi vogliono. La mia dichiarazione non è stata tattica, come si fa con una fidanzata con la quale hai litigato. Ma se fra un mese o fra sei mesi mi diranno che sono convinti dell’idea di crescita sostenibile che io ho proposto... si vedrà. Altrimenti mi avvarrò di un vecchio diritto che valeva sugli imbarchi: il diritto di mugugno”.

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …