Carola Susani: Come una Chiesa. Un racconto

07 Luglio 2005
Non ci è bastato vederlo per decidere che lo avremmo nascosto. Anzi, all´inizio, ci è sembrato un coglione. Non meritevole. Ha infilato via Montecuccoli con il piede sull´acceleratore, in Cinquecento restaurata verde acqua. Faceva quasi ottanta all´ora. Devi scappare, che fai, rubi un cinquino? Colleghi i fili come trent´anni fa? Non sei capace di rubare una macchina vera? Oppure la Cinquecento è tua? Due ragazzini gli hanno detto scemo perché gli stava ammazzando il cane. Due peruviani. Dietro gli si era incollata la sirena. Ero seduto sul muretto del trentotto e l´ho sentita come fosse qui, ma la volante stava ancora a via Fieramosca. Da dove spunta uno così? Lo sanno tutti che via Montecuccoli è una strada senza uscita, che finisce col muro, coll´albero, coi cani. Non doveva essere del Prenestino. Non doveva essere di Roma. Ottanta all´ora e non controllava l´auto, via Montecuccoli sembrava un flipper. E´ andato addosso a un Renault parcheggiato a spina, il parafango l´ha rilanciato contro l´immondizia, ha buttato a terra due motorini. Il secchione un po´ ha attutito il colpo, ma quello teneva ancora il piede sull´acceleratore, è andato addosso a un´Alfa che stava uscendo dal parcheggio, ha fatto testacoda, è finito contro il marciapiede e si è rigato i cerchioni. Per fortuna il Comune ha rifatto i marciapiedi alti, o mi metteva sotto. Le signore con la spesa, le madri coi passeggini, gli agenti immobiliari, tutti sono saliti sul marciapiedi e guardavano. Il proprietario dell´Alfa ha aperto la portiera imprecando. Ma poi non ha fatto niente perché la Cinquecento si era fermata e non usciva nessuno. Forse gli è sembrata piccola, ridicola. Erano le 11 grazieadio, perché la tarda mattinata la via è più vuota. La sera non faceva a tempo a sterzare che rinculava di botto su un fiorino, restava sfigurato e poi esplodeva.
Nell´ora di punta ci stanno minimo tre mezzi che premono per andarsene e altrettanti che cercano parcheggio, e spesso non c´è un posto, così ricomincia il giro. Ora, se c´è una cosa che sappiamo fare per sopravvivenza è entrare e uscire limitando il danno. Uno che scambia via Montecuccoli per l´autoscontro lo sentivamo estraneo, istintivamente cretino. Il sole era alto, illuminava le facciate dei palazzi esposte ad est e un pezzo dell´asfalto. La Cinquecento luccicava come tutte le altre macchine, forse di più per lo smalto nuovo. Nel vallone ferroviario è passato sferragliando il treno: sembrava che fosse cresciuto il silenzio. Finalmente la portiera si è aperta, è uscita una gamba. In proporzione pareva un gigante, con lo scarpone rovinato. Chinandosi poi è venuto fuori tutto il resto. Ci è scappato da ridere: come aveva fatto a entrarci? Era grosso, asciutto, ma enorme, un torace spazioso, la testa tonda senza capelli, e una faccia che ci è piaciuta subito, larga, il naso schiacciato, la bocca come un taglio ma con gli angoli rivolti verso l´alto, e gli occhi distanti e un poco fessi come quelli di una vacca. Aveva anche una pistola. Non saprei dire che pistola fosse, non me ne intendo, mi sembrava finta. Il proprietario dell´Alfa e qualcun altro, madri di figli e agenti immobiliari, ha sussultato. Ma da come la teneva, il braccio rilassato, la canna abbandonata sulla coscia, abbiamo capito che era scarica. Restava fermo, davanti alla Cinquecento, tutto quel corpo era un ingombro. Dietro di lui c´era il ghiaino con l´ulivo e ancora dietro il muro della ferrovia. Che poteva fare? Ormai aveva i riflessi rallentati.
All´inizio di via Montecuccoli, la volante si era fermata con la sirena accesa. Ma ancora non s´azzardavano ad entrare. Aspettavano rinforzi. E infatti, neanche dovessero combattere un esercito, dietro arrivavano altre volanti e una camionetta. A quelli di noi che erano là e che avevano visto la Cinquecento immettersi a ottanta all´ora, non è piaciuto lo spiegamento di forze. Gli è caduto l´occhio sulla bacheca con il manifesto sbiadito di Roma Città aperta. Certo quel fatto vero, quella donna colpita dai nazisti, non è successo in questa via. Però qui hanno girato il film e questo per noi significa qualcosa. C´è chi ha visto addirittura la troupe. Altri che hanno comprato casa si vantano del film con i loro amici. E la guerra non ce la possiamo togliere dalla testa. Anche chi non c´era. Perché ci sono ancora palazzi lesionati dai bombardamenti. Perciò siamo così sensibili a quell´epoca. Non è che qualcuno trovasse somiglianze tra le forze dell´ordine e i nazisti. Tanti hanno fratelli zie e cugini carabinieri e poliziotti. E se quei ragazzi in divisa fossero scesi giù, anche in due, visto che quello era un bisonte, li avremmo lasciati fare. Era la sproporzione: troppe divise contro un uomo inerme. Ci siamo sentiti come una chiesa. Allora, a poco a poco, fingendo di essere curiosi, ignari, domandando ‟ma che è successo?”, ‟ma che cos´è, un vizio? C´è un nuovo deposito di esplosivo?”, ‟un covo di fondamentalisti?”, ci siamo raccolti in mezzo alla strada. E c´erano famiglie, ragazzi, commercianti, sfaccendati, italiani, bengalesi, e qualche filippino, peruviano, rumeno, nigeriano, insomma tutta gente che abita o lavora a via Raimondo Montecuccoli. Magari la maggior parte erano davvero solo curiosi. E´ stato un momento. Perché intanto, qua dov´ero io, una signora l´ha preso per il polso, gli ha tolto delicatamente la pistola, l´ha gettata come un ferrovecchio, e si è tirata dietro l´uomo gigantesco sussurrando ‟fa in prescia”, per la tensione le era tornato sulle labbra il dialetto che non parlava da anni. L´ha trascinato dentro un portone, lei che era piccola, su per le scale del suo palazzo. E l´uomo l´ha seguita docile. Chissà la signora che ha pensato? che era come il figlio o come un Cristo. C´era qualcuno che gridava: ‟ma che fate, che ne sapete, è un assassino magari”. E forse aveva ragione. E´ vero, non si proteggono gli assassini. Ma non ci credevamo. Fuori da ogni logica non ci volevamo credere.
All´imboccatura l´assembramento si era sciolto senza scontri. Le forze dell´ordine dilagavano senza che nessuno più le ostacolasse. Hanno cominciato a cercarlo dentro ai portoni, su per le scale. E quando la signora li ha sentiti, ha fatto uscire l´uomo dalla finestra e l´ha fatto scendere scivolando sul tubo dello scarico. Al primo piano qualcuno ha aperto le serrande e quello è entrato. Una ragazza, una studentessa, ridendo gli ha preso la mano, gli fatto attraversare l´appartamento di corsa, gli ha aperto la porta: ‟stanno di sopra, vai giù per le scale, spicciati”. E lui, giù. I poliziotti intanto, bussavano, domandavano: ‟niente di strano?”, raccomandavano: ‟state attenti”.
Quando l´ho visto sul portoncino, l´ho preso in consegna io. L´ho fatto entrare dentro l´ascensore e l´ho portato fino al terrazzo. Lui mi guardava, non tremava, non sorrideva. Ma aveva quella bocca che andava verso l´alto. Non avevo considerato gli elicotteri. Ce n´era uno che volava basso. Ci siamo messi a correre a spalle chine fino alla mia soffitta. Avevo con me la chiave: ‟mettiti qua e aspetta”. Non mi ha risposto, si è accucciato. La terrazza era color sabbia, sbiadita da anni di sole. Sulla scala, al coperto, ho tirato un sospiro di sollievo. A passi lenti, euforico, sono ritornato sulla strada. C´era ancora la cinquecento con la portiera aperta e la pistola per terra. La scena non faceva venire in mente uno scontro, anzi metteva pace. A poco a poco i poliziotti sono tornati, forse delusi ma anche loro sollevati. Hanno pensato che avesse scavalcato, hanno avvertito la polizia ferroviaria. Si sono presi la pistola e hanno aspettato che un carroattrezzi venisse a portarsi via la cinquecento. È entrato e uscito senza fatica, non c´era nessuno in doppia fila. Poi carroattrezzi e divise sono andati via. Via Montecuccoli è tornata al caos. Al bar, ho preso un caffè in un bicchierino di carta e una bottiglia d´acqua. Sono salito in terrazza. Non c´era più, la porta della soffitta era aperta. Ho alzato le spalle, ho bevuto il caffè. Qualche settimana dopo l´ho rivisto. Una famiglia al pianoterra del ventuno cenava con la porta aperta. Lui stava seduto sul divano letto. Aveva messo su pancia. Madre e padre nutrivano un bambino, qualche schizzo di crema raggiungeva anche il nostro latitante. Immagino che quando le acque si saranno calmate, scavalcherà e sparirà con il primo treno. Però mi è capitato ancora di vederlo, che spolverava i libri a casa di un vecchio o seduto sopra i sassi di aiuola. Quasi non l´ho riconosciuto per quanto si era fatto grasso.

Carola Susani

Carola Susani è nata a Marostica. Ha esordito con il romanzo Il libro di Teresa (Giunti 1995). Con Feltrinelli ha pubblicato, nella collana ‟Kids”, Il licantropo (2002) e Cola Pesce …