Enrico Franceschini: Londra dà la caccia ai killer

12 Luglio 2005
Una domenica di solleone, rarità per questa terra, porta i primi arresti, nuovi allarmi, il conforto di una predica, quella dei leader di tutte le fedi religiose del Regno Unito che esortano in coro alla fratellanza, e porta pure una pioggia profumata, colorata di rosso, un milione di papaveri sganciati da un vecchio bombardiere della Seconda guerra mondiale su decine di migliaia di londinesi, accorsi sotto i cancelli di Buckingham Palace, nonostante la paura di altri attentati, per celebrare insieme alla loro sovrana la vittoria contro il nemico di ieri e la resistenza al nemico di oggi.
‟Da domani, da lunedì, tornate alla normalità”, li esorta Scotland Yard, ‟se Londra non tornasse a lavorare, vorrebbe dire che ha vinto il terrorismo, dimostrategli che siamo open for business, come sempre”. E dopo il giovedì delle bombe che hanno svuotato la capitale, dopo un venerdì in cui la città ha funzionato a mezzo servizio, dopo la benvenuta pausa del fine settimana, stamane Londra dovrebbe tornare a essere la solita Londra, riempendo il metrò, i bus, gli uffici, le strade, con la sua energia cosmopolita.
Da quel che si è visto ieri, quando approfittando della bella giornata la gente ha invaso i parchi, i giardini, il lungofiume, mettendosi in costume da bagno a prendere il sole, i londinesi obbediranno, provando a dimostrare, per prima cosa a se stessi, che sono di nuovo open for business. Ma non è facile, perché sullo sfondo continuano a sentire l´eco della tragedia, ritrasmesso come un tam-tam dai bollettini di giornali, radio, tivù.
Primo bollettino: l´evacuazione di trentamila persone dal centro di Birmingham, seconda maggiore città dell´Inghilterra, sabato sera, è stata causata da ‟una minaccia grave e specifica”, dichiarano le autorità. I quattro oggetti sospetti ritrovati e fatti esplodere nel corso dell´operazione non contenevano ordigni, ma la minaccia era un´altra, che la polizia rifiuta di rivelare, limitandosi a dire: ‟La gente di Birmingham era in pericolo”.
Secondo bollettino: ieri mattina, a Londra, un falso allarme ha fatto evacuare il terminal numero 3 di Heathrow, principale aeroporto della metropoli. È il centesimo falso allarme in quattro giorni.
Terzo bollettino: ‟Minacce e allarmi, del tipo di Birmingham e Heathrow, proseguiranno in tutto il paese finché non avremo preso i terroristi che hanno attaccato Londra”, annuncia il ministro degli Interni, Charles Clarke. Il ministro chiede l´aiuto delle società di telecomunicazioni europee per recuperare e controllare tutto il traffico di telefonate ed email del giorno dell´attentato. Chiede pure l´aiuto dei fotografi dilettanti e videoamatori: ‟Inviateci per email foto e video digitali che avete scattato giovedì, potrebbero contenere informazioni di vitale importanza”.
Con un clic, nel 2005, ognuno può inavvertitamente partecipare alle indagini. Quarto bollettino: Scotland Yard rende noto di avere effettuato ‟tre arresti”, guarda caso proprio a Heathrow, sulla base delle leggi anti-terrorismo. Affermare che sono collegati all´attentato di Londra ‟sarebbe soltanto una supposizione”, osserva Brian Paddick, vice-capo della polizia: ma non è una completa smentita. ‟Facciamo arresti per anti-terrorismo ogni settimana”, soggiunge ma nemmeno questo esclude che i tre risultino successivamente implicati nell´attacco alla capitale.
Altre notizie le fornisce la stampa inglese con le sue fonti. Il commando di al Qaeda che ha messo le bombe a Londra sarebbe formato da una cellula di quattro ‟stranieri”, entrati in Gran Bretagna con passaporto falso, scrive il ‟Telegraph”. L´”Independent” preferisce parlare di una ‟gang mercenaria” assoldata da bin Laden. Qualcuno punta i sospetti su un siriano, Mustafà Nasar, ritenuto il cervello dell´attentato dello scorso anno a Madrid.
John Stevens, fino a quattro mesi fa capo di Scotland Yard, sostiene in un´intervista che i terroristi di Londra sono ‟fatti in casa”, cioè cresciuti qui e con passaporto britannico, e rivela che la polizia ha sventato quattro o cinque complotti come quello tragicamente riuscito giovedì scorso.
Mentre sotto il metrò di King´s Cross si continua a scavare per recuperare altri corpi, la nuova previsione è che il totale, alla fine, supererà gli ottanta morti. Molte chiese del regno, in questa domenica anche di preghiera, hanno ricordato le vittime: dalla piccola cappella di St. Pancreas, accanto a Russell Square, dove è esploso il bus, alla cattedrale di Westminster, dove sedevano il primo ministro Blair e la regina. Dopo la messa, l´arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha lanciato un messaggio congiunto insieme ai leader di ogni culto presente in Gran Bretagna, anglicani, protestanti, cattolici, ebrei, musulmani, condannando il terrorismo come ‟un male ingiustificabile”. Ha aggiunto il cardinale Murphy O´Connor, primate della chiesa cattolica in Inghilterra: ‟In un´ora di dolore e tristezza, in cui si prova anche rabbia, è vitale sottolineare tutto ciò che le nostre fedi hanno in comune e resistere alla tentazione di dividersi”.
Quindi, indifferente al pericolo, la regina Elisabetta è sfilata su un´auto a tetto scoperto, davanti a diecimila veterani di guerra col petto coperto di medaglie e a decine di migliaia di spettatori plaudenti. Cavalleggeri, canzoni patriottiche, vecchi bombardieri in cielo, papaveri, bambini col fucile di legno, commozione, coraggio, nessuna retorica. È in momenti così che si capisce perché gli inglesi amano la monarchia. È in giornate così che uno, anche se non è inglese, è orgoglioso di sentirsi londinese.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …

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