Gabriele Romagnoli: Autobomba a Beirut. Salvo Murr il "ministro dei segreti" di Hariri

13 Luglio 2005
Un´autobomba esplode "contromano" nelle strade di Beirut. Provoca due morti, dodici feriti e un interrogativo. Spezza la sequenza logica. Dopo una serie di bersagli antisiriani mette nel mirino, bruciandogli mani e volto, Elias Murr, uomo di Damasco, vicepremier e ministro della Difesa uscente, figlio del "padrino", custode di segreti di Stato e dispensatore di licenze edilizie e concessioni d´affari, fin qui passato alla storia per l´alta concezione della democrazia che gli fece affermare: "Nella cabina elettorale tirare la tendina non è obbligatorio".
Due giorni fa il grillo parlante Jumblatt dichiara pubblicamente, ultimo di una lunga schiera: "Elias Murr ha le chiavi dell´indagine sull´omicidio di Hariri". E ieri di buon mattino il ministro se le mette in tasca ed esce dalla sua abitazione tra le colline, diretto a Beirut. Il suo nome è su tutti i giornali. La sua conferma nel governo del futuro premier Siniora è diventata una questione di principio. Lo vuole il presidente Lahoud. Per lui non è soltanto una questione politica, ma anche di famiglia: il 43enne Elias Murr ha sposato sua figlia Karina, dandogli tre nipoti.
La giornata è di quelle serene, ma molti vedono tempeste al proprio orizzonte. Lahoud da cinque mesi non lascia il palazzo presidenziale se non per emergenza o per confessarsi con il patriarca. Murr esce scortato da un convoglio di auto blindate. Cambia sempre quella di cui sale alla guida, un giorno è la Porsche, un altro la Mercedes. Alla fine, sarà questo a salvarlo. Il colonnello, Bayassari, capo delle guardie del corpo, sta sempre nell´auto che lo segue. Scendono verso Naqash. Sotto di loro si stende Antelias, la zona delle residenze diplomatiche (ci abita anche l´ambasciatore italiano), affacciata sul mare. La Honda imbottita di cinquanta chili di tritolo è parcheggiata lungo la strada. Il telecomando viene premuto al passaggio del convoglio. L´autobomba vola sul muretto di una villa. Nell´asfalto resta un buco largo due metri. Ci casca dentro l´auto sbagliata. Pochi metri più avanti Elias Murr è ferito, ma non gravemente. Riesce a districarsi tra le lamiere, i passanti lo aiutano a tirarsi fuori. Prima ancora delle forze dell´ordine è la gente a portare soccorsi, estrarre a braccia corpi sanguinanti dalle sette vetture rimaste coinvolte nello scoppio. Un´ambulanza porta il ministro all´ospedale dove verrà immediatamente operato. Chi ha cercato di ucciderlo? E perché?
Murr è un nome che racchiude in sé tutta l´assurdità della recente storia del Libano. Evoca faide settarie e familiari, tradimenti e cambi di campo, corruzione e arroganza, segreti e ricatti. Suo padre è "il padrino", Michel Murr. Cristiano greco ortodosso, ingegnere, gran costruttore, prima in Africa, poi in Libano, entra in Parlamento a braccetto di Pierre Gemayel nel ‘68. Ci litiga dopo la mancata rielezione nel ‘72. Negli Anni Ottanta si allea con Hobeika e la sua falange pro siriana. Cacciato da Geagea, il capo delle milizie che sta per uscire da una cella sotterranea, si ritira ad aspettare che la Siria detti legge. E quando lo fa diventa ministro, prima alla Difesa, poi agli Interni. Da lì controlla due cose decisive: le licenze edilizie e i procedimenti elettorali. Per posare un mattone occorre il suo permesso, per votare si fa come dice lui. Naturalizza 300mila siriani e li iscrive tutti nel suo distretto elettorale.
Negli Anni Novanta è un ras incontrastato, celebra il suo potere con un matrimonio combinato tra suo figlio Elias e la figlia dell´altro pupillo di Damasco, il futuro presidente Lahoud. Raggiungono insieme il picco con la sua elezione, nel ‘98. Da lì, è tutta discesa. Nel 2000 perdono voti. L´economia crolla e devono subire il ritorno di Hariri, salvagente finanziario. Lui pone una sola condizione: via Murr. Accetta il figlio, più duttile, agli Interni. Da lì gestirà a suo modo, nel 2002, la ridicola disfida in famiglia. Per il seggio vacante di un deputato morto si affrontano sua sorella Mirna, portabandiera del padre, e il reietto zio Gabriel, che ha venduto la sua televisione all´opposizione.
Nonostante gli oriundi siriani e i voti comprati e verificati evitando di far tirare le tendine in cabina, vince lo zio. Almeno ai tempi regolamentari. Poi, ai supplementari, gli spengono la tv e gli invalidano il risultato. Che sia a tutti chiaro: esiste la legge ed esiste la legge dei Murr. Quasi mai combaciano. Per sopravvivere, il clan è pronto ai patti col diavolo. Nella recente elezione il valzer delle alleanze improbabili li vede allacciati al generale Aoun, che della Siria era arcinemico. Dirige la musica nell´ombra il presidente Lahoud.
Niente è più come era: nel Libano precedente l´omicidio di Hariri quello dei Murr era uno dei nuclei di potere e affari attorno a cui il Paese ruotava. Se l´orbita non collideva con altre, prosperava. E comunque i conflitti si risolvevano con l´arma della politica. Da cinque mesi i conti si regolano con la matematica del tritolo e cinquanta chili vuol dire: il risultato deve essere zero. L´operazione è stata sbagliata. Resta difficile comprenderne il senso. Molte le teorie in circolazione. La logica fa escludere come farsesca l´ipotesi della matrice islamica. Il movente non regge: vendicare gli arresti decisi da Murr per il molto presunto piano di attentato all´ambasciata italiana. Non li ha voluti lui e quei detenuti stanno per uscire.
Si fa fatica anche a credere che, in questa guerra per bande che è l´attuale politica libanese, chi ha finora subito gli attentati abbia voluto mandare un segnale: lasciate perdere la vostra lista di bersagli o noi compileremo la nostra. O che gli stessi che hanno colpito finora abbiano voluto confondere le acque mirando nel proprio campo. Alla fine, anche in un mondo deviato e contorto come questo, la morte, se non la vita, ha un senso. Si uccide per ottenere un risultato o per chiudere una partita. Murr aveva con sé quelle chiavi: la chiave delle indagini sulla morte di Hariri e la chiave delle concessioni per l´edilizia e le attività imprenditoriali in tutto il Libano. Poteva essere un ostacolo per il nuovo comitato d´affari o un pericolo per il vecchio potere con le mani insanguinate. Dall´ospedale ha detto: "Il Paese è in un momento difficile, occorre stare uniti per superarlo". Da ieri nessuno è ufficialmente al sicuro.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …