Antonio Tabucchi: Bankitalia. Lucciole per Lanterne
05 Settembre 2005
Diceva Karl Kraus, che di giornalismo se ne intendeva, che quando i bozzettisti (chiamava così gli autori di pezzi ‟di colore”) credono di essere Monet, il fiorito è obbligatorio: anche i picchi alpini diventano aiuole. Tutti ricordiamo una delle metafore più forti e pungenti dell'ultimo Pasolini: la scomparsa delle lucciole. Intese - questo ormai si insegna anche alle medie - come metafora di un mondo arcaico (di cui Pasolini aveva nostalgia) che, pur nella sua arretratezza, possedeva certi valori che inevitabilmente scomparivano con lui: la frugalità, la solidarietà, la fedeltà alla parola data e soprattutto il pudore. Valori di un mondo povero che nella sua povertà (o a causa di essa) li aveva prodotti non casualmente (niente in antropologia accade casualmente) ma come ‟leggi” di comportamento e di autodisciplina interne a un preciso modello culturale.
Leggi o valori (cioè la morale casta e ingenua di un mondo arcaico) divorati dalla morale astuta e priva di scrupoli della cosiddetta ‟modernità”, o del capitalismo avanzato. Una visione forse a sua volta ingenua o idillica, quella di Pasolini, e con la quale si può non essere d'accordo, ma che certo non è passibile di altre interpretazioni o di altri utilizzi.
Ma ecco come la metafora pasoliniana, che per alcuni sociologi è diventata addirittura l'emblema della linea di passaggio da una società rurale a una post-industriale (insomma la cosiddetta ‟modernità” che stiamo vivendo, quella della deregulation, dell'esibizionismo, del voyeurismo, del liberismo senza freni, della mercificazione assoluta) viene interpretata da un giornalista dell'oggi: ‟Per Antonio Fazio, che è forse l'ultima lucciola di Pasolini, e il residuo premoderno del mondo di Olmi, quello contadino della montagna abruzzese, sarebbe assurdo, ingiusto e persino inutile dare le dimissioni, che per noi sarebbero invece il gesto di grandezza del funzionario moderno, l'ultimo ossequio del laico per salvare il profilo dell'Istituzione dalla propria inadeguatezza, non importa se consapevole; l'estremo atto di decenza e di eleganza. Ma nel codice schietto e rude del montanaro cattolico Fazio la soluzione elegante è un lusso impraticabile, una sorta di cicisbeismo, un atto inessenziale, un tradimento a San Tommaso e al luogo natio, ai pomodori dell'orto e alla penna che sempre gli sbuca fuori dal taschino, agli spaghetti marsicani e alla casetta di pietra dove è cresciuto, da figlio di contadino, e a quell'altra casetta gemella dove è cresciuta lei, Maria Cristina, figlia del falegname di Alvito” (Francesco Merlo, ‟La lucciola di Pasolini”, Repubblica ,1 settembre).
La pennellata è pesante, e la crosta di colore è spessa, non c'è dubbio, ma questo è lo stile del pittore. Ma lasciamo perdere la ‟tecnica” e veniamo alla sostanza. Interpretare il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio per le sue origini e caratteristiche contadine (o perché si fa il segno della croce prima dei pasti) quale ultima lucciola di Pasolini, oltre che fare un grande torto a Pasolini significa fare un torto a Fazio. Se il cinismo, l'arroganza, la volgarità e la pacchianeria sono alcune delle caratteristiche di quella ‟modernità” che Pasolini temeva e avversava (cioè la ‟modernità” che ha distrutto le lucciole), ebbene, in tale modernità Fazio mi pare che si trovi perfettamente a suo agio, muovendocisi all'unisono degli altri organismi biologici che della nostra epoca e del suo habitat sono diventati i dominatori. E in tal senso egli non mi pare davvero una timida lucciola, ma piuttosto una lanterna. E in quanto lanterna ha prodotto una luce tale che ha illuminato a giorno i caveaux della banca dello Stato, tanto da metterli sotto gli occhi del mondo intero.
Altro che residuo premoderno da Albero degli zoccoli: Fazio è modernissimo, è un pezzo perfetto dell'Italia di oggi, quella che Bettino Craxi inaugurò e che Berlusconi ha perfezionato. E la metafora che gli si addice, se proprio dobbiamo trovargli delle metafore, è una lanterna grossa quanto l'edificio di Bankitalia.
Di quale materiale sia fatta la lanterna (e altre lanterne che si sono accese sulle stoppie italiane dove le messi sono già state abbondantemente mietute e non resta un chicco di grano) si vedrà.
A Firenze, quand'ero bambino, c'era una festa di lanterne di carta che si tenevano issate su una pertica, con un lume all'interno e che avevano le fogge e i colori più diversi, spesso volti grotteschi o mascheroni ridanciani. Era più creativa di halloween, che allora gli Americani non avevano ancora esportato nel mondo, e i bambini si costruivano da soli le lanterne: si chiamava la festa ‟della rificolona”. Si andava per le strade in gruppo a fare a gara con le lanterne altrui, e quando incontravamo un altro gruppo cantavamo una filastrocca (che anche l'altro gruppo cantava rivolto al nostro): ‟Ona, ona, ona, ma che bella rificolona, la mia l'è coi fiocchi, la tua l'è coi pidocchi”.
Leggi o valori (cioè la morale casta e ingenua di un mondo arcaico) divorati dalla morale astuta e priva di scrupoli della cosiddetta ‟modernità”, o del capitalismo avanzato. Una visione forse a sua volta ingenua o idillica, quella di Pasolini, e con la quale si può non essere d'accordo, ma che certo non è passibile di altre interpretazioni o di altri utilizzi.
Ma ecco come la metafora pasoliniana, che per alcuni sociologi è diventata addirittura l'emblema della linea di passaggio da una società rurale a una post-industriale (insomma la cosiddetta ‟modernità” che stiamo vivendo, quella della deregulation, dell'esibizionismo, del voyeurismo, del liberismo senza freni, della mercificazione assoluta) viene interpretata da un giornalista dell'oggi: ‟Per Antonio Fazio, che è forse l'ultima lucciola di Pasolini, e il residuo premoderno del mondo di Olmi, quello contadino della montagna abruzzese, sarebbe assurdo, ingiusto e persino inutile dare le dimissioni, che per noi sarebbero invece il gesto di grandezza del funzionario moderno, l'ultimo ossequio del laico per salvare il profilo dell'Istituzione dalla propria inadeguatezza, non importa se consapevole; l'estremo atto di decenza e di eleganza. Ma nel codice schietto e rude del montanaro cattolico Fazio la soluzione elegante è un lusso impraticabile, una sorta di cicisbeismo, un atto inessenziale, un tradimento a San Tommaso e al luogo natio, ai pomodori dell'orto e alla penna che sempre gli sbuca fuori dal taschino, agli spaghetti marsicani e alla casetta di pietra dove è cresciuto, da figlio di contadino, e a quell'altra casetta gemella dove è cresciuta lei, Maria Cristina, figlia del falegname di Alvito” (Francesco Merlo, ‟La lucciola di Pasolini”, Repubblica ,1 settembre).
La pennellata è pesante, e la crosta di colore è spessa, non c'è dubbio, ma questo è lo stile del pittore. Ma lasciamo perdere la ‟tecnica” e veniamo alla sostanza. Interpretare il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio per le sue origini e caratteristiche contadine (o perché si fa il segno della croce prima dei pasti) quale ultima lucciola di Pasolini, oltre che fare un grande torto a Pasolini significa fare un torto a Fazio. Se il cinismo, l'arroganza, la volgarità e la pacchianeria sono alcune delle caratteristiche di quella ‟modernità” che Pasolini temeva e avversava (cioè la ‟modernità” che ha distrutto le lucciole), ebbene, in tale modernità Fazio mi pare che si trovi perfettamente a suo agio, muovendocisi all'unisono degli altri organismi biologici che della nostra epoca e del suo habitat sono diventati i dominatori. E in tal senso egli non mi pare davvero una timida lucciola, ma piuttosto una lanterna. E in quanto lanterna ha prodotto una luce tale che ha illuminato a giorno i caveaux della banca dello Stato, tanto da metterli sotto gli occhi del mondo intero.
Altro che residuo premoderno da Albero degli zoccoli: Fazio è modernissimo, è un pezzo perfetto dell'Italia di oggi, quella che Bettino Craxi inaugurò e che Berlusconi ha perfezionato. E la metafora che gli si addice, se proprio dobbiamo trovargli delle metafore, è una lanterna grossa quanto l'edificio di Bankitalia.
Di quale materiale sia fatta la lanterna (e altre lanterne che si sono accese sulle stoppie italiane dove le messi sono già state abbondantemente mietute e non resta un chicco di grano) si vedrà.
A Firenze, quand'ero bambino, c'era una festa di lanterne di carta che si tenevano issate su una pertica, con un lume all'interno e che avevano le fogge e i colori più diversi, spesso volti grotteschi o mascheroni ridanciani. Era più creativa di halloween, che allora gli Americani non avevano ancora esportato nel mondo, e i bambini si costruivano da soli le lanterne: si chiamava la festa ‟della rificolona”. Si andava per le strade in gruppo a fare a gara con le lanterne altrui, e quando incontravamo un altro gruppo cantavamo una filastrocca (che anche l'altro gruppo cantava rivolto al nostro): ‟Ona, ona, ona, ma che bella rificolona, la mia l'è coi fiocchi, la tua l'è coi pidocchi”.
Antonio Tabucchi
Antonio Tabucchi (Pisa, 1943 - Lisbona, 2012) ha pubblicato Piazza d’Italia (Bompiani, 1975), Il piccolo naviglio (Mondadori, 1978), Il gioco del rovescio (Il Saggiatore, 1981), Donna di Porto Pim (Sellerio, 1983), Notturno indiano (Sellerio, 1984), I volatili del Beato Angelico (Sellerio, 1987), Sogni …