Gabriele Romagnoli: New York. L'inventore dei quartieri di successo
Primogenito: SoHo, acronimo di "SOuth of HOuston street", palazzi di ghisa, regolamenti condominiali in cui si esige la certificazione che l’inquilino è "artista" per approvare il contratto d’affitto (esperienza personale: ho dovuto portare due libri e dieci recensioni, ma non hanno preteso che fossero positive). Secondogenito: Nolita (NOrth of Little ITAly). Terzogenito: la creatura di Joe Lombardi, Tribeca. Fino agli anni Settanta era semplicemente ‟dove finisce il Village e comincia il nulla”. Poi s’inventarono TRIangle BElow CAnal, il triangolo sotto Canal street, ristrutturarono vecchi magazzini abbandonati, ci misero ad abitare Harvey Keytel, David Letterman, John John Kennedy e, soprattutto, Robert De Niro. Soprattutto, perché De Niro portò Nobu, il più fantasioso chef giapponese e per mangiare da Nobu a Tribeca tutta New York si mise in fila. L’ultimo marchio fu Wevar, WEst of VARick street. Lì Lombardi avrebbe dovuto restaurare un gigantesco frigorifero che un tempo conteneva prosciutti e formaggi. Poi arrivò l’11 settembre, ma quello del 1999, quando ancora Wall Street creava ogni giorno nuovi ricchi. Già allora, scrisse Tom Wolfe, ‟tutti i quartieri degli artisti di Manhattan - SoHo, WeVar, TriBeCa, il Village, Nolita - erano storia”. O qualcuno aveva il coraggio di proporre Nothing, nulla, il quartiere immaginario North Of anyTHING o bisognava ricominciare da capo, riarrotolare la coperta e rivendersi tutto ripartendo da nord. Siccome spacciare Harlem per nuova "zona calda" richiedeva uno sforzo speciale fecero ricorso a un testimonial eccezionale, mettendoci l’ex presidente Clinton. Ha funzionato, la macchina è ripartita. Ora tramonta downtown e risorge Spanish Harlem, ma il gioco è scoperto e ciclico. Si proclama la «fine del Village» per poterlo, tra qualche anno, riscoprire, mandandoci a vivere qualcuno che ne era scappato vent’anni prima. Dalla cima della Liberty Tower a Joe Lombardi basta adesso girare la testa verso nord per vedere il "nuovo che avanza". E gli basterà aspettare perché ritorni ai suoi piedi, tutto sia riscoperto e rivenduto a prezzo raddoppiato. Non è solo New York a giocare questa partita a "monopoli". Tutte le metropoli d’occidente hanno quartieri che sbocciano, muoiono e risorgono. A Parigi è stato il Marais.
A Londra Notting Hill (consacarato come marchio da un film con Julia Roberts e Hugh Grant che l’aveva per titolo). A Roma, dopo anni di sforzi (perché fuori dal centro storico sunt leones) stanno finalmente riuscendo a vendere il Pigneto, dove, va da sé, stazionano scrittori e trans, oltre alla seconda sede della catena di acconciature "Contesta Rock Hair", che ha un negozio anche a Miami, per dire. E chi pensa che accada soltanto in Occidente, si faccia un giro a Beirut. Per anni la strada dove tutto accadeva era Monot: c’erano i locali di tendenza, la gente giusta, la trasgressione. Le foto scattate a Monot finivano su Wallpaper e dintorni. Poi qualcuno ha dichiarato che Monot era «finita». Cosa era mai accaduto? Come muore un quartiere? Semplicemente avevano dato licenze per aprire qualche decina di locali in un’altra strada: Gemmayze. Mentre Monot entrava nell’ombra, a Gemmayzee si accendevano le luci di caffè, ristoranti, pub e, soprattutto, salivano i valori immobiliari delle vecchie case tradizionali affacciate su una strada fin lì spopolata dopo il tramonto. Ci sono ancora tre o quattro licenze da piazzare, altrettanti negozi di candele e liquirizie da convertire e poi anche Gemmayze comincerà a "finire". L’erede è già stato concepito: è la zona di fronte al porto dove stanno aprendo i locali notturni nei quali le multinazionali tengono, a rotazione, le loro serate promozionali con i migliori dj. Intorno ci sono vecchie case che qualcuno sta già comprando. Manca solo l’acronimo giusto, il logo da stampare sopra al pacchetto immaginario e, lì come altrove, il gioco sarà fatto. Aspettando di riscoprire Monot, il Marais, il Greenwich Village, perché tutto quel che sarà è già stato, quel che cambia è soltanto la generazione che se lo compra.