Massimo Mucchetti: Fisco e finanza. Il “regalo” sulla Bnl e le scelte dell'Ulivo

06 Settembre 2005
Diviso sul caso Bnl, il centro-sinistra si ritrova unito nel condannare l’esenzione fiscale della quale gode chi ha tanto guadagnato vendendo all’Unipol le azioni dell’ex banca del Tesoro. Più in generale, Prodi, Fassino e Rutelli osservano che la normativa fiscale favorisce l’investimento finanziario rispetto a quello industriale e promettono di cambiare registro. qualora gli elettori li chiamino al governo nel 2006. Il proposito è ottimo, ma la memoria storica consiglia cautela. Lo ‟scandaloso regalo” su Bnl, che ci sarebbe stato anche se a comprare fossero stati gli spagnoli del Bilbao, si fonda sulla participation exemption tremontiana. Ricordarlo è interessante, soprattutto in quanto demistifica la presunta neutralità delle leggi fiscali. Ma proprio per questo anche il centro-sinistra dovrà spiegare chi deve pagare più o meno tasse, e a favore di chi e di che cosa. Limitarsi alla critica al governo sarebbe troppo poco. In primo luogo, perché i segnali positivi sull’economia sono troppo recenti, timidi e fragili per ipotizzare margini per sconti fiscali generalizzati: con i conti pubblici così malmessi, si tratta di ridistribuire i pesi più che di diminuirli. In secondo luogo, perché nemmeno i governi di centro-sinistra furono avari di ‟regali”, che tali restano anche se sono finiti a imprese e persone meno pittoresche dei nuovi ‟re” del mattone. L’Irap non è solo una legge prossima alla bocciatura in sede europea. È anche una norma che, pur allargando ai professionisti la platea dei contribuenti, diede un gettito inferiore alle previsioni per un ammontare tra i 5 e 7 miliardi di euro, e dunque travasò oneri fiscali per una somma ancora maggiore da banche, assicurazioni e grandi imprese al resto del sistema. La legge 133 del 1999, poi, intendeva scoraggiare il ricorso al debito per avere imprese più solide. A questo virtuoso fine assegnava una riduzione d’imposta di 18 punti alle imprese che finanziassero gli investimenti materiali e immateriali attraverso aumenti di capitale e stanziamenti a riserva. Ma il risultato fu che, con il costo del debito inferiore a quello del capitale, le imprese sono andate ugualmente in banca o sul mercato obbligazionario, e spesso per finanziare l’acquisizione di partecipazioni in settori più comodi dando in garanzia le medesime. Le scalate a Telecom Italia e ad Autostrade sono gli esempi più clamorosi di questi leveraged buy out: acquisti impropri di azioni proprie, per dirla con Franzo Grande Stevens. Al tempo stesso, la 133 ha consentito a una Telecom e a una Vodafone di risparmiare 400 milioni a testa sull’acquisto delle licenze Umts: con lo Stato a restituire con una mano parte di quanto aveva preso con l’altra. Visco ricorda spesso di aver fatto pagare le imposte a Olivetti quando questa vendette Omnitel. Ma dovrebbe aggiungere che, di fatto, l’esborso non ci fu grazie alla compensazione con le perdite pregresse e che proprio quel pagamento virtuale ha consentito a Vodafone, grazie a un’altra sua legge, la 358, di risparmiare 2 miliardi rivalutando la banca dati. Anche il centro-sinistra, dunque, ha dato. E ha dato soprattutto ai grandi gruppi nella convinzione, fordista, che questi fossero la locomotiva dell’economia. Ma ciò non ha evitato la migrazione del capitale dalla grande industria ai servizi a minor tasso di concorrenza, mentre è stata un’altra Italia - quella della media impresa, la più tartassata dal fisco secondo Mediobanca - che ha retto alla globalizzazione pur non disdegnando, come insegna il caso Antonveneta, la finanza furba. Forse è da qui, e non solo dalla contabilità dei ‟regali” fiscali altrui e propri, che converrà ripartire. Il centro-sinistra critica Tremonti ma quando era al governo favorì le grandi imprese

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …