Enrico Franceschini: Londra pazza per il cricket
19 Settembre 2005
‟Tra cinquant’anni”, disse l’allora primo ministro John Major in un memorabile discorso nel 1993, ‟la Gran Bretagna sarà ancora il paese delle ombre che si allungano sui campi da cricket, della birra tiepida, dei sobborghi verdi, e delle anziane domestiche che pedalano nella foschia per recarsi alla Messa”. Sulla birra tiepida, sui sobborghi verdi e soprattutto sulle anziane domestiche, è probabile che Major sbagliasse. Ma sul cricket, a giudicare dalla psicosi collettiva che sta sconvolgendo il Regno Unito, potrebbe avere visto giusto. In questo curioso sport, praticato da pochi e compreso da ancor meno gente al di fuori dell’ex-Impero britannico, l’Inghilterra ha sconfitto l’Australia nella sfida biennale denominata The Ashes (Le Ceneri - la spiegazione del termine un po’più sotto), che si ripete puntualmente da due secoli: e da qualche giorno non si parla d’altro. Durante l’ultimo decisivo inning della partita, a Londra si è fermato il traffico, i broker della City hanno smesso di arricchirsi, la gente si è raccolta in religioso silenzio, sia pure con un bicchiere in mano, davanti agli schermi giganti dei pub: otto milioni di persone hanno seguito il match in diretta. La notizia della vittoria occupava ieri a caratteri di scatola la prima pagina di tutti i quotidiani nazionali, incluso il solitamente austero ‟Financial Times”: e un tabloid meno austero, il ‟Sun”, ha riempito l’ultima pagina con i versi di "Jerusalem", canzone che - nonostante il titolo - equivale all’inno nazionale per gli inglesi. In mattinata, i vincitori sono sfilati trionfalmente per le strade della capitale su autobus scoperto, concludendo la parata di fronte alla statua del salvatore della patria, l’ammiraglio Nelson, e a centomila tifosi impazziti di gioia, a Trafalgar Square. Nel pomeriggio, Tony Blair li ha ricevuti a Downing street. La stampa grida al miracolo. La Bbc parla di impresa "storica". Tutti si abbracciano come dopo una guerra, piangendo commossi. L’entusiasmo non deve sorprendere. Il cricket, come sosteneva il premier John Major, da queste parti è una cosa seria. L’Inghilterra lo ha inventato, e poi ha sofferto l’umiliazione di essere brutalmente sconfitta dalle sue ex-colonie: in particolare dall’Australia, dove in altri tempi Sua Maestà mandava i galeotti. Il trofeo in palio nella sfida biennale, "The Ashes", prende appunto il nome da un’uniforme da cricket bruciata nel 1882, le cui ceneri furono chiuse in un’urna funeraria, dopo la prima sconfitta patita dagli inglesi per mano dei "canguri". Da allora, è quasi sempre andata così: l’ultima vittoria dell’Inghilterra risale al 1987, e vincere dopo quasi vent’anni di digiuno, ora, ha un sapore particolare. Si potrebbe crudelmente aggiungere, tuttavia, che l’Inghilterra non ha inventato solo il cricket: anche calcio, rugby, tennis e golf, nati qui, sono passatempi che gli inglesi hanno esportato nel mondo per vederli oggi dominati da altre nazioni. È dal 1936, per dirne una, che al torneo di Wimbledon non vince un inglese. Nel rugby, per dirne un’altra, dopo la vittoria a sorpresa ai mondiali del 2003 (contro l’Australia), la nazionale inglese è tornata all’abituale mediocrità. Nel calcio aspetta da un pezzo di rinverdire i fasti di Wembley 1966: c’era chi covava grandi sogni per i Mondiali dell’anno prossimo, ma la recente sconfitta subita dall’Inghilterra di Eriksson contro l’Irlanda del Nord, pur senza compromettere la qualificazione, è stata un trauma sul genere della vergognosa Corea per l’Italia. La consolazione a così tante sfortune giunge adesso dal cricket, grazie al quale l’Inghilterra si è di nuovo potuta sentire, come nei versi di un’altra celebre canzonetta patriottica, the land of hope and glory, la terra della speranza e della gloria. Purtroppo è arrivata, questa gloria, da uno sport che il resto del mondo giudica a dir poco astruso: giocatori vestiti di bianco in pantaloni lunghi, regole e termini complicatissimi, partite che non finiscono mai, anche perché alla prima spruzzata di pioggia vengono interrotte per bere una tazza di tè. ‟Un baseball col valium”, lo sintetizzò il comico americano Robin Williams. Uno sport, inoltre, tradizionalmente elitario, prediletto dalle classi abbienti, dove i tifosi vanno allo stadio in cappello di paglia, bermuda e cestino da picnic. Qualcuno, perciò, ironizza: tanta era la voglia di riscattarsi degli inglesi, ‟che il cricket si è scoperto un’anima popolare”, ha scritto ‟Le Monde” in prima pagina. E punzecchiare gli inglesi, per i francesi, è bello quasi quanto batterli sul campo: sportivo, o di battaglia, fa poca differenza.
Enrico Franceschini
Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …