Marina Forti: Usa. L'uragano e il clima
26 Settembre 2005
Prima Katrina, poi Rita. La domanda è inevitabile: c'entra il cambiamento globale del clima in questo ripetersi di disastri? L'implicazione politica è evidente, perché gli Stati uniti, che pure producono circa un quarto dell'anidride carbonica emessa ogni anno nell'atmosfera, rifiutano di applicare il protocollo di Kyoto, l'unico trattato internazionale che punta a ridurre almeno in (piccola) parte le emissioni di CO2 e altri ‟gas di serra” - responsabili del cambiamento del clima. L'ostinazione americana a non toccare il sistema industriale e i consumi energetici (perché questo è l'unico modo di ridurre le emissioni di gas ‟di serra”) si ritorce dunque contro l'America stessa. O, come ha detto il presidente della Royal Commission on Environmental Pollution del Regno Unito, sir John Lawton, al quotidiano ‟The Independent”: ‟Se questo [Rita] farà comprendere ai pazzi del clima in America che hanno un grave problema e devono affrontarlo, sarà almeno un buon risultato da una situazione catastrofica”. Secondo lo scienziato britannico, ‟l'aumentata intensità di questo tipo di tempeste estreme è molto probabilmente dovuta al riscaldamento globale”, e sono appunto ‟pazzi” coloro che si ostinano a negare il problema. Certo resta difficile sostenere che Katrina, Rita, o ogni altro ciclone tropicale sia direttamente dovuto al riscaldamento globale - e infatti il capo dell'Istituto meteorologico britannico (Uk Meteorological Office) Julian Heming ha ribattuto al collega, sulla Bbc, che ‟è pericoloso spiegare Rita o Katrina con il riscaldamento globale, perché abbiamo sempre avuto forti uragani negli Usa: il più forte negli annali è stato nel 1935”. Già. Ma il punto non è un singolo ciclone. ‟Ora (...) una connessione emerge tra il riscaldamento degli oceani e i cicloni tropicali estremi”, commentava la settimana scorsa la rivista scientifica americana ‟Science” (16 settembre). L'alta temperatura della superficie del mare è un fattore chiave nella formazione di un ciclone tropicale. La rivista cita uno studio (pubblicato in quello stesso numero) dove si analizzano i dati raccolti via satellite sui cicloni nei tropici negli ultimi 35 anni: risulta che il numero per anno non è cambiato in modo significativo, ma è aumentato in modo drastico (l'80%) il numero dei cicloni più forti, quelli catalogati forza 4 o 5. Questo studio avvalora un'altra ricerca, pubblicata il mese scorso, che constatava ugualmente l'intensificarsi di cicloni nell'Atlantico e nel Pacifico settentrionale: l'autore, il meteorologo Kerry Emanuel del Massachussetts Institute of Technology, faceva osservare che negli stessi anni è andata aumentando la temperatura degli oceani tropicali, e questo è dovuto all'aumento della presenza di gas di serra nell'atmosfera - su questo sì, quasi tutti ormai concordano. Insomma, Emanuel ne concludeva che ‟c'è un forte indizio di un legame” tra l'effetto serra crescente e l'aumentata intensità dei cicloni. Banale: più si scaldano gli oceani, più quel calore alimenta uragani sempre più intensi.
Questo non si traduce in modo automatico in maggiori danni o vittime, avverte ‟Science”. I fattori meteorologici fanno un uragano più o meno intenso, ma sono altri fattori (tutti umani) a renderlo più o meno devastante. A pari intensità, farà più o meno vittime e distruzione a seconda della natura delle coste su cui ‟atterra”, quanto sono popolate, quali misure di sicurezza sono predisposte, quanto efficaci i soccorsi - e sappiamo che non sono stati per nulla efficaci. E non solo: subisce meno devastazione una costa che conserva intatte le sue ‟zone umide”, gli acquitrini che fanno da polmone alle alluvioni, o dove i boschi di mangrovie sono intatti, perché allora riescono ad attutire l'effetto delle onde di maremoti e alluvioni. Lo mostrano benissimo le foto prese dai satelliti delle regioni devastate dallo tsunami del dicembre 2004 in Asia, dove le coste protette dalle mangrovie sono rimaste relativamente intatte. Invece, la Louisiana ha perso un terzo delle sue zone umide, aperte o alberate: ecco un altro ‟fattore umano” del disastro.
Questo non si traduce in modo automatico in maggiori danni o vittime, avverte ‟Science”. I fattori meteorologici fanno un uragano più o meno intenso, ma sono altri fattori (tutti umani) a renderlo più o meno devastante. A pari intensità, farà più o meno vittime e distruzione a seconda della natura delle coste su cui ‟atterra”, quanto sono popolate, quali misure di sicurezza sono predisposte, quanto efficaci i soccorsi - e sappiamo che non sono stati per nulla efficaci. E non solo: subisce meno devastazione una costa che conserva intatte le sue ‟zone umide”, gli acquitrini che fanno da polmone alle alluvioni, o dove i boschi di mangrovie sono intatti, perché allora riescono ad attutire l'effetto delle onde di maremoti e alluvioni. Lo mostrano benissimo le foto prese dai satelliti delle regioni devastate dallo tsunami del dicembre 2004 in Asia, dove le coste protette dalle mangrovie sono rimaste relativamente intatte. Invece, la Louisiana ha perso un terzo delle sue zone umide, aperte o alberate: ecco un altro ‟fattore umano” del disastro.
Marina Forti
Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …