Enrico Franceschini: Blair. "Resto a Downing Street"
28 Settembre 2005
Gordon: ‟Entro un anno, al tuo posto ci sarò io”. Tony: ‟Nemmeno per idea, resterò al comando altri tre anni”. Non si è svolto esattamente così, il battibecco a distanza tra Brown e Blair, strana coppia di amici-rivali da oltre un decennio alla guida del partito laburista britannico; ma è stato questo il senso dei loro discorsi all´annuale congresso del Labour, confermato del resto da commenti, battute e indiscrezioni dietro le quinte.
Lunedì Brown si era presentato alla platea nei panni di premier imminente, preannunciando per l´anno prossimo un suo lungo viaggio attraverso il Regno Unito per ‟ascoltare, capire, imparare e discutere”: un tour da investitura, che secondo i suoi fedelissimi dovrebbe precedere il cambio della guardia nella leadership del partito e del paese subito prima o subito dopo il congresso del settembre 2006. Blair gli ha risposto ieri presentando al popolo laburista un ambizioso piano di riforme: ‟Nei miei due primi mandati abbiamo corretto i danni dell´era Thatcher”, ha detto, ‟nel terzo garantiremo un futuro migliore per tutti”. In cinquanta minuti di orazione non ha nemmeno sfiorato la questione della successione, lasciandosi anzi scappare una data come scadenza per realizzare i suoi progetti: il 2008.
L´antefatto è che Blair - appagato e forse pure provato dopo tre vittorie consecutive alle urne, record senza precedenti per un laburista - ha deciso di non ricandidarsi una quarta volta. ‟Mi dimetterò”, afferma, ‟verso la fine del terzo mandato”. Da allora il mondo politico è in fermento per capire quando avverrà. Più di tutti è in fermento Brown, numero due del governo e del partito, erede apparente, da anni in attesa di sostituire l´amico-nemico.
Il messaggio inviatogli ieri da Blair è che non deve avere fretta: le prossime elezioni sono nel 2009, il premier intende restare a Downing street fino al 2008. Il Guardian ipotizza che potrebbe dimettersi un po´ prima, nel maggio 2007, decennale della sua ascesa al potere; ma a un giornalista che qui a Brighton gli ha chiesto cosa farà quando non sarà più first lady, Cherie Blair - che detesta Brown - ha risposto divertita: ‟È una cosa così lontana nel futuro, mio caro, che neppure ci penso”. Un altro stretto consigliere del premier, Peter Mandelson, pure lui ostile al ministro delle Finanze, ha aggiunto: ‟Adesso Brown può sembrare il successore naturale, ma fra tre anni le cose potrebbero cambiare”.
Nel suo discorso Blair ha ribadito la formula vincente del New Labour: un´economia aperta, liberale, costantemente pronta a cambiare, e la salvaguardia dei valori di solidarietà della sinistra. Ha difeso la globalizzazione: ‟Sento gente che vorrebbe ancora metterla in discussione. Tanto vale discutere se l´autunno deve venire dopo l´estate. La globalizzazione non può essere fermata, ma contiene una grande occasione per chi è pronto a coglierla”. Ha fatto capire che la parziale privatizzazione di sanità e istruzione andrà avanti, con l´obiettivo di offrire servizi pubblici migliori e pari opportunità. Ha escluso un frettoloso ritiro delle truppe britanniche dall´Iraq: ‟Non lasceremo gli iracheni alla mercé di fanatici religiosi, terroristi islamici e nostalgici di Saddam”. E ha ribadito il suo legame con Bush: ‟Lo so che una parte di voi vorrebbe che facessi come l´attore Hugh Grant (che l´anno scorso ha interpretato il premier britannico in Love, actually, in cui prende a male parole il presidente degli Stati Uniti, ndr.) e dicessi all´America di levarsi di torno. Ma la differenza tra un bel film e la vita reale è che nella vita reale si pagano le rovinose conseguenze di un facile applauso. Dopo l´11 settembre non ho mai dubitato che il nostro posto fosse a fianco dell´America e non ne dubito ora”.
Lunedì Brown si era presentato alla platea nei panni di premier imminente, preannunciando per l´anno prossimo un suo lungo viaggio attraverso il Regno Unito per ‟ascoltare, capire, imparare e discutere”: un tour da investitura, che secondo i suoi fedelissimi dovrebbe precedere il cambio della guardia nella leadership del partito e del paese subito prima o subito dopo il congresso del settembre 2006. Blair gli ha risposto ieri presentando al popolo laburista un ambizioso piano di riforme: ‟Nei miei due primi mandati abbiamo corretto i danni dell´era Thatcher”, ha detto, ‟nel terzo garantiremo un futuro migliore per tutti”. In cinquanta minuti di orazione non ha nemmeno sfiorato la questione della successione, lasciandosi anzi scappare una data come scadenza per realizzare i suoi progetti: il 2008.
L´antefatto è che Blair - appagato e forse pure provato dopo tre vittorie consecutive alle urne, record senza precedenti per un laburista - ha deciso di non ricandidarsi una quarta volta. ‟Mi dimetterò”, afferma, ‟verso la fine del terzo mandato”. Da allora il mondo politico è in fermento per capire quando avverrà. Più di tutti è in fermento Brown, numero due del governo e del partito, erede apparente, da anni in attesa di sostituire l´amico-nemico.
Il messaggio inviatogli ieri da Blair è che non deve avere fretta: le prossime elezioni sono nel 2009, il premier intende restare a Downing street fino al 2008. Il Guardian ipotizza che potrebbe dimettersi un po´ prima, nel maggio 2007, decennale della sua ascesa al potere; ma a un giornalista che qui a Brighton gli ha chiesto cosa farà quando non sarà più first lady, Cherie Blair - che detesta Brown - ha risposto divertita: ‟È una cosa così lontana nel futuro, mio caro, che neppure ci penso”. Un altro stretto consigliere del premier, Peter Mandelson, pure lui ostile al ministro delle Finanze, ha aggiunto: ‟Adesso Brown può sembrare il successore naturale, ma fra tre anni le cose potrebbero cambiare”.
Nel suo discorso Blair ha ribadito la formula vincente del New Labour: un´economia aperta, liberale, costantemente pronta a cambiare, e la salvaguardia dei valori di solidarietà della sinistra. Ha difeso la globalizzazione: ‟Sento gente che vorrebbe ancora metterla in discussione. Tanto vale discutere se l´autunno deve venire dopo l´estate. La globalizzazione non può essere fermata, ma contiene una grande occasione per chi è pronto a coglierla”. Ha fatto capire che la parziale privatizzazione di sanità e istruzione andrà avanti, con l´obiettivo di offrire servizi pubblici migliori e pari opportunità. Ha escluso un frettoloso ritiro delle truppe britanniche dall´Iraq: ‟Non lasceremo gli iracheni alla mercé di fanatici religiosi, terroristi islamici e nostalgici di Saddam”. E ha ribadito il suo legame con Bush: ‟Lo so che una parte di voi vorrebbe che facessi come l´attore Hugh Grant (che l´anno scorso ha interpretato il premier britannico in Love, actually, in cui prende a male parole il presidente degli Stati Uniti, ndr.) e dicessi all´America di levarsi di torno. Ma la differenza tra un bel film e la vita reale è che nella vita reale si pagano le rovinose conseguenze di un facile applauso. Dopo l´11 settembre non ho mai dubitato che il nostro posto fosse a fianco dell´America e non ne dubito ora”.
Enrico Franceschini
Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …