Giorgio Bocca: La napoletanità non salva Napoli

07 Ottobre 2005
Lo scrittore Raffaele La Capria ha elaborato una sua teoria per mettere d'accordo la Napoli della borghesia colta ed europea a quella della camorra sanguinaria e selvaggia. La borghesia napoletana, dice, è rimasta traumatizzata dalla rivoluzione del 1799 e dalla repressione sanfedista che ne fece la plebe napoletana con strage di migliaia di persone e con un odio che arrivò a casi di cannibalismo. La Napoli di quelli che guardano a Londra o a Parigi ha il terrore che la bestia plebea si risvegli e la divori. Ha perciò tentato di gettare una testa di ponte verso questo mondo feroce e imprevedibile e ha inventato negli ultimi due secoli la napoletanità, un modo di essere napoletani comune ad entrambi, accettabile da entrambi: il napoletano come lingua comune, le superstizioni, le canzoni, la pizza e i maccheroni, il paesaggio stilizzato delle pastiere, il teatro di Viviani e De Filippo, il cielo e i colori del Golfo.
Una teoria elegante ma consolatrice perché la napoletanità non è stata inventata negli ultimi secoli da una borghesia preoccupata ma egemone, ma è la cultura popolare napoletana come si è elaborata nei millenni ed è una cultura non estranea alla camorra, ma sua complice, sua compagna di strada. Nell'analisi della camorra, osserva l'antropologo Marino Niola, viene sottovalutato il peso dei fattori culturali di cui la borghesia, e prima di lei l'aristocrazia, sono, se non responsabili, complici come il culto della furbizia e del raggiro, la prepotenza e l'arroganza del più forte, l'affermazione del proprio particulare, del proprio io, il doppio gioco fra superstizione e religione, fra tradizione e modernità. In città come Napoli, diceva Benedetto Croce, "non si è ancora cominciato a portar via le immondizie del Duecento". E questo nei vicoli come nei palazzi nobiliari o nei quartieri residenziali.
La maschera di Napoli, Pulcinella, è il prodotto di questa ambiguità, maschio e femmina, vivo e morto, sciocco e intelligente, insidiosamente servile e senza limiti superbo, irriverente e cortigiano, a volte ottuso a volte furbo, ma sempre come se avesse una forma superiore di ragione. Sulla scena impersonato da Totò, il teatrante principale. La dea della fecondità napoletana cambia nome, ma è sempre la stessa: la Cerere delle spighe mature o la santa Patrizia. San Gennaro nasce nel quartiere dove è nata Santa Patrizia, che è lo stesso in cui sorgeva il tempio di Cerere, e prima che La Capria inventasse la napoletanità, essa celebrava i suoi saturnali a Piedigrotta, le sue feste dissipatrici nei palazzi dei principi, le sue vendette sanguinarie nei bassi e portava in processione Maradona, dipinto su un drappo in posa da condottiero o disegnato su un muro di Secondigliano con in testa la corona dell'Addolorata.
Ricordare a un napoletano che la cultura in cui è nato è una cultura tollerante fino alla complicità è impossibile. Avendo scritto sulla moltiplicazione degli impieghi e delle commissioni, l'amico Isaia Sales mi ha osservato: "Tutto si può dire di Bassolino e dei suoi collaboratori tranne di non aver lottato e rischiato in prima persona contro gli abusi, l'illegalità, la camorra". Ma se Napoli è quella che è nonostante gli onesti, è segno che il suo modo di essere non funziona.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …