Fabrizio Tonello: Se George W. scarica Rove e la Miller

25 Ottobre 2005
Per un'astuzia della Storia, vengono in questi giorni al pettine contemporaneamente i nodi relativi a tre scandali apparentemente separati: la bufala, di marca italiana, sugli acquisti di uranio in Niger da parte di Saddam Hussein, gli articoli sul ‟New York Times” che riportavano questa falsa notizia e la rivelazione dell'identità dell'agente della Cia Valerie Plame, che potrebbe condurre sul banco degli imputati alcuni stretti collaboratori di Bush e Cheney. Come si sa, la storia delle vendite di uranio del Niger all'Iraq è un grossolano falso confezionato a Roma da faccendieri di mezza tacca legati al Sismi. Meno chiaro è il perché e il come i documenti palesemente falsi siano stati forniti, nel 2002, agli Stati uniti; o meglio: l'unica ragione plausibile è che il governo Berlusconi volesse ingraziarsi l'amministrazione Bush fornendo ‟informazioni” utili per la propaganda pre-invasione. Gli sviluppi successivi sono più interessanti: la notizia arriva sulla stampa americana attraverso due pezzi, 8 e 13 settembre 2002, di Judith Miller che sposavano senza riserve le tesi della Casa bianca. Si noti che la ‟notizia” avrebbe potuto essere ridicolizzata facilmente intervistando alcuni scienziati indipendenti, i quali avrebbero potuto spiegare le difficoltà di costruzione di una bomba atomica a partire dal cosiddetto yellow cake, l'uranio che dev'essere arricchito se si vuole ottenere un ordigno funzionante. C'è di mezzo, diciamo, la capacità di mettere in piedi un progetto Manhattan e di avere a disposizione Enrico Fermi, Robert Oppenheimer e alcuni altri.Soltanto mesi dopo, il 9 gennaio 2003, il ‟New York times” riferiva dello scetticismo dell'International Atomic Energy Agency, ma confinando la notizia a pagina 10. Gli articoli della Miller escono parecchi mesi dopo la missione di Joseph Wilson, un ex ambasciatore che nel marzo 2002 era stato mandato dalla Cia in Niger a indagare sulla faccenda. Wilson aveva accertato senza difficoltà che la storia era ridicola ma il suo rapporto non piacque all'amministrazione Bush e venne sepolto in un cassetto. La guerra con l'Iraq avviene comunque e, nel luglio 2003, Wilson rivela che tutta la storia era falsa, ed era stata usata dall'amministrazione come copertura per una decisione già presa. Non passano pochi giorni e Karl Rove, parlando con almeno tre giornalisti, fa sapere che Valerie Plame, moglie di Wilson, è un agente Cia, mettendo fine alla sua carriera.
La rappresaglia è nel più perfetto stile di Washington: si parla soltanto con giornalisti amici, in assoluta segretezza. I reporter accettano anche se sanno benissimo di rendersi complici di un reato, perché tale è, dal 1982, rivelare l'identità di un agente segreto americano. Al centro di tutto l'imbroglio c'è lui, Karl Rove, il ‟cervello di Bush” come viene definito nel titolo di un libro di successo, che si serve di tre giornalisti, fra cui Judith Miller, per realizzare il suo piano di screditare Wilson. Ora, sulla rivelazione del nome di Valerie Plame si avvia un'inchiesta, affidata a un tenace procuratore indipendente, che chiede ai giornalisti di rivelare le loro fonti. Nell'estate 2005, la Miller sceglie di avvolgersi nella bandiera della libertà di stampa e di andare in prigione piuttosto che rivelare la sua fonte confidenziale. Quando diventa chiaro che si tratta del capo di gabinetto di Cheney, viene scarcerata. A questo punto, per il ‟New York times” la situazione si fa intricata: difendere il principio della segretezza delle fonti o prendere le distanze da un reporter che non solo aveva pubblicato notizie infondate ma si era resa complice di una vendetta politica contro chi si opponeva alla guerra? Un anno e mezzo fa, il giornale aveva pubblicato una timidissima autocritica per gli errori e imprecisioni di cui si era reso responsabile ‟durante il preludio alla guerra e nelle fasi iniziali dell'occupazione dell'Iraq”.
Il giornale citava, in particolare, alcuni articoli della Miller e aggiungeva: ‟In certi casi, informazioni che erano controverse allora, e appaiono discutibili oggi, furono pubblicate senza sufficienti precauzioni, o pubblicate senza un commento critico”. Ora c'è di più: in un memorandum confidenziale di venerdì scorso, reso pubblico da un cronista, il nuovo direttore Bill Keller ammette che la gravità degli errori commessi sulle armi di distruzione di massa e riconosce di non aver voluto andare a fondo della faccenda perché gli sembrava ‟inappropriato” iniziare il suo periodo di direzione del giornale criticando il suo predecessore Joseph Lelyveld. Soprattutto, Keller prende le distanze dalla Miller che ora appare non come un'eroina della libertà di stampa, bensì come una burattina della Casa Bianca. Per lei, come per la sua fonte Karl Rove, i tempi eroici sono finiti e, per Natale, potrebbero addirittura ritrovarsi entrambi disoccupati: l'una licenziata dal giornale e l'altro congedato da Bush o incriminato dal procuratore.

Fabrizio Tonello

Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …