Non c'è solo il muro, drammatico, che divide Israele dai frastagliati territori che lo circondano, abitati da palestinesi, ma soprattutto da poveri. Ci sono muri nelle nostre città, in Francia, in Italia, in Europa. Forse non dividono in modo assolutamente esatto i poveri dai ricchi (unica distinzione sociale oggi visibile), ma così sono percepiti. Ogni parigino sa la spaccatura tra il mondo di chi vive in città e chi ne è rigettato al di fuori, e io stesso conosco la violenza inesplosa che si esprime negli sguardi dei giovani banlieusards quando al sabato si riversano nelle strade del centro - un centro così allargato che coincide con tutta la città. Ma loro vengono da una non-città, un immenso non-luogo che non ha nulla della neutralità commerciale, pure orrenda, di chi ha fondato questa nozione per coprire una pluralità di spazi, dagli sportelli bancomat ai parcheggi sotterranei alle hall degli aeroporti. Vi sono non-luoghi in cui migliaia di persone abitano, sognano, si svegliano, spesso non lavorano e non vanno a scuola, ovvero cercano con più disperazione di altri qualche ragione per vivere e alzarsi dal letto. Da troppo tempo si rimuove il disagio sociale e umano di queste aree dominate da immensi parallelepipedi con finestre (e la fotografia di un paesaggio notturno, in una banlieue parigina, con alcune di quelle finestre accese, è lugubre anche senza auto incendiate), ma anche la rabbia di chi, soprattutto i più giovani, le abita senza orizzonti né redenzioni (vi ricordate il film La haine (L’odio) di Mathieu Kassowitz?). Florence Aubenas - la giornalista francese rapita in Iraq e da poco liberata - autrice di un libro su un fatto giudiziario nella banlieue, ha detto che anche le bande più violente sono paradossalmente da ringraziare, perché ci ricordano l’esistenza del dramma delle periferie, che sono orrende. È compito della politica pensare, prima o insieme che alla legalità, a cosa significhi abitare, e alle condizioni di vita a partire dalle quali la legalità è condivisibile da tutti. Altrimenti non resta che ricordare queste parole: ‟Voglio dirvelo fuori dai denti: io scendo all’inferno e vedo cose che - per ora - non disturbano la vostra pace. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi (…) Non vi illudete. Voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la vostra bella etichetta (…)”. Non le ha dette un abitante delle banlieues di Parigi, ma Pier Paolo Pasolini nell’ormai celebre ‟ultima intervista” con Furio Colombo (1/11/1975).
Beppe Sebaste

Beppe Sebaste

Beppe Sebaste (Parma, 1959) è conoscitore di Rousseau e dello spirito elvetico, anche per la sua attività di ricerca nelle università di Ginevra e Losanna. Con Feltrinelli ha pubblicato Café Suisse e altri luoghi di sosta (1992), Niente di tutto questo mi appartiene (1994), Porte senza porta. Incontri con maestri contemporanei (1997; poi ripubblicato in Il libro dei maestri. Porte senza porte rewind, luca sossella, 2011). Tra i suoi ultimi libri, Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne e Oggetti smarriti e altre apparizIoni, entrambi con Laterza. Per Feltrinelli ha curato e tradotto ne "I Classici" Le passeggiate del sognatore solitario di Jean-Jacques Rousseau (2012) e I miei amici di Emmanuel Bove (nuova ed. 2015).

Vai alla scheda >>

Torna alle altre news >>