Giuliana Sgrena: L'eco di Tehran a Baghdad

30 Settembre 2005
Le elezioni iraniane sono ‟illegittime e una vergogna”, parola di Bush. Sicuramente le elezioni iraniane non si sono svolte democraticamente vista l'esclusione di molti riformisti, tra i quali molte donne. Oltre agli altri brogli denunciati da alcuni candidati. Ma le elezioni irachene del 30 gennaio legittime sicuramente lo erano molto meno visto che a essere esclusa - per diverse ragioni - è stata una intera minoranza, quella sunnita. Eppure Bush non ha avuto nessun dubbio sull'avallarle, dopo che per mantenere quella scadenza elettorale aveva fatto spianare dal suo esercito la città di Falluja, parte di Samarra e quartieri di Mosul.
Quella di Bush è malafede, rincarata da una dose di mistificazione, quando sostiene che il risultato iraniano - la vittoria del conservatore Mahmouh Ahmadi- Nejad - è in ‟controtendenza” rispetto ad altri risultati nell'area. Quali? Il successo degli Hezbollah libanesi, o il governo dei signori della guerra in Afghanistan oppure la vittoria dei religiosi sciiti in Iraq? A dare man forte ai candidati di Ali al Sistiani (una lista confessionale che ha avuto grande successo tra gli sciiti iracheni, invogliati a votare con una fatwa, sentenza coranica) sono stati molti religiosi, tra i quali i sostenitori di Muqtada al Sadr ma anche dell'ayatollah Abdelaziz al Hakim che in Iran avevano l'appoggio più dei guardiani della rivoluzione di Khamenei che dei riformisti di Khatami. La conquista della presidenza dell'Iran da parte del conservatore sindaco di Tehran avrà quindi molta influenza nell'area e soprattutto in Iraq, dove la spinta a instaurare una repubblica islamica sul modello iraniano troverà nuovi sostenitori. Il sud del paese è già ampiamente ‟contaminato” dai gruppi iraniani che fanno proselitismo. I pasdaran sono da tempo di casa a Sadr city, la cittadella sciita di Muqtada al Sadr a Baghdad, e a Bassora, dove i seguaci del leader sciita radicale hanno cominciato a perseguitare i giovani di ‟facili” costumi. Così come i ‟consiglieri” iraniani frequentano assiduamente le sedi dei partiti religiosi sciiti, tra i quali quella dello Sciiri, Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq, i cui dirigenti hanno passato gli anni dell'esilio proprio a Tehran appoggiando il regime iraniano anche nella guerra contro Saddam Hussein.
Le rivalità tra le varie componenti sciite irachene non impedisce loro di avere lo stesso santuario in Iran, come per gli iraniani, dopo la caduta di Saddam, Najaf - la città santa sciita per eccellenza - ha riacquistato tutto il suo valore. Proprio a Najaf, durante il suo esilio, il leader della rivoluzione iraniana Khomeini aveva elaborato la sua teoria del velayat-e faqih (supremazia del religioso), lasciando nelle madrasa irachene molti suoi adepti. Anche se proprio la maggiore autorità sciita in Iraq, l'ayatollah Ali al Sistani (peraltro di origine iraniana), si rifà invece alla linea opposta, quella ‟quietista”, che non sostiene che a governare debbano essere i mullah. Questo non vuol dire che la religione non debba ‟contaminare” la politica e lo si è già visto nelle recenti elezioni. E ancora prima, nella elaborazione della Costituzione provvisoria, quando al Sistani sosteneva che la sharia (la legge coranica) deve essere la fonte primaria della legge. Allora il suo tentativo non era passato, così come quello di eliminare il codice della famiglia (uno dei più progressisti del mondo arabo-islamico) da parte dell'ayatollah al Hakim. Ma ora in discussione è la costituzione che dovrà governare l'Iraq per il futuro e il partito di al Sistani ha la maggioranza.

Giuliana Sgrena

Giuliana Sgrena, inviata de ‟il manifesto”, negli ultimi anni ha seguito l'evolversi di sanguinosi conflitti, in particolare in Somalia, Palestina, Afghanistan, oltre alla drammatica situazione in Algeria. Negli ultimi due …