Enrico Franceschini: Belfast, la rapina del secolo minaccia il processo di pace

13 Gennaio 2005
Il colpo realizzato dai soliti ignoti alla vigilia di Natale nella banca centrale dell’Irlanda del nord era stato decisamente spettacolare. Il furto, per un ammontare di circa 27 milioni di sterline, quasi 40 milioni di euro, 80 miliardi di vecchie lire, è entrato nel record dei primati: la più grande rapina in banca nella storia britannica, una delle più grandi di tutti i tempi nel mondo. Quanto al piano per impossessarsi del malloppo, non poteva essere più insolito, spregiudicato e feroce: anziché dare l’assalto alla Northern Bank di Belfast con mitra spianati e volto coperto da passamontagna, la sera prima i rapinatori erano andati a fare una "visitina" ai due direttori della banca, avevano sequestrato e condotto in una località segreta tutti i loro familiari. Poi avevano ordinato ai due terrorizzati capifamiglia di andare al lavoro facendo finta di nulla la mattina seguente, restando in ufficio fino a dopo l’orario di chiusura, aspettarli lì, aprire loro la porta, quindi aprire il forziere e consegnare i soldi, se volevano rivedere vivi figli e mogli. Ma adesso l’impresa potrebbe passare alla storia anche per un altro motivo: come la pietra che ha riportato a fondo il negoziato di pace nord-irlandese, quando uno storico accordo sembrava a portata di mano. Dopo tre settimane di indagini, infatti, Scotland Yard ha assegnato la responsabilità della rapina ai guerriglieri dell’Ira, l’esercito clandestino indipendentista cattolico. "Abbiamo le prove", accusa il capo della polizia britannica in Ulster, pur senza fare nomi e per il momento senza autorizzare arresti. Gerry Adams, leader dello Sinn Feinn, il braccio politico del movimento indipendentista e considerato da molti un membro segreto dell’Ira nonostante i suoi ripetuti dinieghi, smentisce con sdegno: "Noi non c’entriamo, questo è un tentativo di comprometterci e di sabotare il processo di pace". I grandi mediatori della pace, tuttavia, stavolta non gli credono. "Balle", sbotta il primo ministro irlandese Bertie Ahern, "non solo la rapina porta tutte le impronte di un’operazione dell’Ira, ma sono convinto che Adams e la leadership politica cattolica ne fossero pienamente informati. Negli stessi giorni in cui i capi dello Sinn Feinn discutevano con noi e con i leader protestanti un accordo di pace, giurando di rinunciare alla violenza, complottavano in segreto per compiere la rapina del secolo". Dello stesso parere è il ministro per l’Irlanda del nord del governo britannico: "Questa vicenda danneggerà profondamente la trattativa di pace", dice Paul Murphy, rappresentante di Tony Blair in Ulster. Quanto ai protestanti nordirlandesi, il loro leader Ian Paisley, che già non si fidava dell’Ira prima della rapina, adesso può permettersi di ironizzare con Londra e Dublino: "Visto? Accusavate me di eccessivo scetticismo, mi esortavate a riconosce che l’Ira è diventata brava e buona. Ora nessuno può negare che i paramilitari cattolici sono ancora impegnati in operazioni criminali e terroristiche". La polizia sostiene che i militanti dell’Ira, da quando l’organizzazione ha proclamato il cessate il fuoco rinunciando di fatto al terrorismo politico, sono diventati dei freelance del crimine, per tornaconto personale: una tesi illustrata da una serie di furti con caratteristiche analoghe nell’ultimo anno. A Belfast circola però anche un’altra versione: che la rapina in banca fosse stata decisa dall’alto, come un ultimo grande colpo, necessario a raccogliere i fondi con cui pagare ai guerriglieri una "liquidazione" di fine carriera per indurli a consegnare le armi e ad andare "in pensione"". Come che sia, per ora qualcuno si sta godendo 40 milioni di euro di refurtiva e intanto la pace in Irlanda del nord, ancora una volta, si allontana.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …