Per D'Alema Mussolini andava processato. “È solo opportunismo”. Colloquio con Giorgio Bocca

15 Novembre 2005
Bell’accoppiata di opportunisti, Bruno Vespa e Massimo D’Alema, hanno messo in piedi non una revisione storica, ma un’operazione chiaramente politica”. A Giorgio Bocca, giornalista, protagonista della Resistenza, autore di libri ormai classici come la Storia dell’Italia partigiana e La repubblica di Mussolini, la dichiarazione di D’Alema contenuta nel nuovo libro di Vespa, Vincitori e vinti, non va proprio giù. Alla convinzione del presidente diessino che un processo al capo del fascismo sarebbe stato preferibile all’esecuzione preferisce senz’altro l’opinione del segretario Piero Fassino, contrario a ‟riaprire una pagina che si presta soltanto a un revisionismo storico strumentale”.
Bocca ricorda che Fassino è figlio di un partigiano, ‟queste cose contano”. Sulla scrivania della sua casa milanese, vicino a Sant’Ambrogio, Bocca ha le prime bozze del nuovo libro-inchiesta su Napoli, che uscirà a gennaio, e un foglio sul quale ha annotato le osservazioni all’ampio servizio che il numero in edicola di ‟Panorama” dedica al libro di Vespa. ‟D’Alema - dice il giornalista senza paura di crearsi nuovi nemici - appartiene alla stessa specie di Giampaolo Pansa: questi fa del revisionismo per vendere più libri, l’altro per prendere più voti o comunque per far carriera. È un personaggio che si presta a tutti i giochi, anche a fare un governo con Berlusconi”. Inutile far presente che anche studiosi di sinistra come Lucio Villari avanzano dubbi sulla decisione presa dal Clnai e sulle modalità dell’esecuzione avvenuta a Giuliano di Mezzegra il 28 aprile 1945. ‟Dal punto di vista storico è una stupidità totale, significa ignorare che cosa sono le rivoluzioni, le rese dei conti. Sarebbe come dire che fu uno sbaglio ghigliottinare Robespierre o impiccare i gerarchi nazisti. Oltretutto l’esecuzione di Mussolini era legalmente giustificata dalla dichiarazione del 25 aprile 1945 in cui il Clnai avvertiva che chi non si arrendeva sarebbe stato passato per le armi”.
Insistiamo: davvero una Norimberga italiana non avrebbe potuto giovare a fare i conti con un passato ancora oggi ingombrante? ‟Norimberga - risponde deciso Bocca - è la dimostrazione che non si può fare il processo alla storia. A Norimberga i vincitori processarono i vinti. Sul banco dell’accusa c’erano anche i sovietici che scaricarono sui nazisti massacri commessi da loro come le stragi di Katyn”. Ma il vero punto è un altro e Bocca non ha timore di dirlo: ‟La morte del dittatore era inevitabile e fu accolta con manifestazioni di gioia non soltanto da noi antifascisti. Lasciare a Mussolini la parola in un processo avrebbe significato consentirgli di chiamarci tutti in causa, anche noi partigiani, che eravamo stati fascisti come tutti. Ma non si può mettere sullo stesso piano il regime del ventennio, che ebbe il consenso della maggioranza, e la minoranza criminale della Repubblica sociale. Certo, nella mia Storia della repubblica di Mussolini ho sottolineato che dall’altra parte combattevano anche ragazzi in buona fede. Ma il giudizio si ferma alla valutazione morale delle motivazioni”.
Tornando a una possibile Norimberga italiana, Bocca sottolinea che era questo ‟il desiderio degli americani e soprattutto degli inglesi. Un processo a Mussolini avrebbe significato mettere sotto accusa l’intera nazione. Ed era quello che noi partigiani, interpreti di un radicale rinnovamento nazionale, volevamo evitare. Anche per questo fu giusto uccidere Mussolini”.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …