Marina Forti: Sri Lanka alle urne, il conflitto sullo sfondo
Ad affrontarsi erano due candidati principali, dati testa a testa nei sondaggi. Il premier Mahinda Rajapakse, leader del Sri Lanka Freedom Party (partito della libertà), e il capo dell'opposizione, Ranil Wickremesinghe, leader del United National Party (Unp).
Rajapakse, che si presenta come centro-sinistra, ha un linguaggio critico verso ‟la globalizzazione e la dipendenza economica dall'occidente”; quanto alla questione tamil però dice di voler rivedere gli accordi di cessate il fuoco siglati tre anni fa, che erano basati su due principi condivisi: il ruolo di mediazione della Norvegia e una soluzione a lungo termine basata sul federalismo (quindi la rinuncia da parte delle Tigri a rivendicare uno stato separato, e l'accettazione di un'ampia autonomia amministrativa delle regioni tamil da parte del governo centrale). Proprio questi due principi rimette in discussione l'attuale premier e candidato presidente: e in questo è alleato con la destra buddista e il Fronte di liberazione popolare (Jvp), strano connubio di marxismo e ultranazionalismo, che vorrebbero chiudere la questione con la sconfitta militare delle Tigri (ovvero, vorrebbero riaprire il conflitto).
Al contrario, Wickremesinghe si dichiara ‟pragmatico” rispetto al conflitto tamil, dichiara che la soluzione politica basata sulla condiuvisione dei poteri è necessaria per mantenere l'unità del paese e salvare la pace. In politica economica invece si dichiara un fautre del liberalismo. Così, Rajapakse è preferito dal piccolo commercio e nelle zone buddiste-cingalesi; Wickremesinghe gode di più fiducia nelle zone miste per etnie e religioni, e ha il favore dei milieu degli affari. Il boicottaggio degli attivisti tamil ha paradossalmente favorito il candidato a loro meno favorevole - molti pensano che in fondo alle Tigri sia più congeniale un presidente che potranno accusare di essere un ‟falco”.