Marina Forti: Total risarcisce i contadini birmani
Il caso Total riporta alle cronache un terribile caso di collusione tra grandi multinazionali e un regime dittatoriale tra i più feroci (ma, stranamente, tollerati) del mondo. Risale alla metà degli anni `90. Nel 1993 Unocal e Total, in joint venture con l'ente petrolifero di stato della Birmania, hanno cominciato a sfruttare i giacimenti di gas off shore nel mar delle Andamane; il progetto, chiamato Yadana, includeva la costruzione di un gasdotto fino alla terraferma e poi attraverso la penisola di Tenasserim fino in Thailandia, per sboccare sul golfo del Siam. Il progetto comportava sgomberare i villaggi lungo il tracciato, allestire alloggiamenti per i tecnici stranieri e militari, eliporti, e poi la costruzione del gasdotto stesso. Interi villaggi sono stati spianati con le ruspe, la popolazione costretta a fuggire, e gli adulti arruolati a forza a lavorare sotto la sorveglianza dell'esercito. Di li a poco ondate di profughi sono arrivate attraverso la foresta in territorio thailandese, dove sindacalisti birmani in esilio hanno raccolto le loro testimonianze piene di violenze, villaggi bruciati, stupri. Sono loro che hanno denunciato ciò che avveniva in Birmania meridionale.
Il gasdotto di Tenasserim era già entrato nelle aule di tribunale. E' stato in California, con il procedimento Doe versus Unocal: un gruppo di 15 contadini birmani, uomini e donne, assistiti dagli avvocati statunitensi del International Labor Rights Fund, avevano chiamato in causa Unocal. Il fatto che il tribunale di San Francisco abbia accolto il procedimento era in sé una vittoria: il tribunale aveva ritenuto fondati gli argomenti dell'accusa, cioè che l'azienda petrolifera sapeva cosa avveniva lungo il tracciato di quel gasdotto ed era perciò corresponsabile della violenza scatenata dall'esercito birmano (da loro pagato, come da contratto, per provvedere la ‟sicurezza”). Quando Unocal ha negoziato un accordo extragiudiziario, con risarcimenti per circa 30 milioni di euro e finanziamenti vari, è stata dunque un'ammissione: in giudizio rischiava la condanna.
Nel caso francese, l'azione giudiziaria non è cominciata - d'altra parte gli avvocati dell'associazione Sherpa dichiarano di non voler ‟cadere nella giuridicità isterica all'americana” (su ‟Le Monde”): loro intenzione è creare un precedente, finora unico in Europa, per ‟rafforzare la responsabilità etica delle imprese”.