Marina Forti: Kabul, un parlamento nel caos
21 Dicembre 2005
La prima vera e propria giornata di lavori del parlamento afghano è finita nella confusione, a Kabul: le due camere si sono dilaniate su questioni procedurali e non sono riuscite a eleggere i rispettivi presidenti. La seduta riprende oggi. In parte è questione di inesperienza: il parlamento eletto lo scorso settembre in Afghanistan, e insediato lunedì alla presenza del vecchio ex re Zahir Shah, del presidente Hamid Karzai e del vicepresidente degli Stati uniti Dick Cheney, è il primo che torna a riunirsi dal 1973, quando re Zahir Shah fu deposto da un colpo di stato del cugino Daud Khan che sciolse le camere. Dunque, i 249 deputati alla camera bassa (wolesi jirga) e i 102 eletti al senato (meshrano jirga) hanno poca o nessuna esperienza di vita parlamentare.
L'inesperienza però è forse il minore dei problemi. L'insediamento del nuovo parlamento afghano è l'ultimo degli atti formali della transizione come era stata delineata nel dicembre 2001 alla conferenza di Bonn, dopo l'operazione militare Usa che cacciò i Taleban. Dietro l'atto formale però resta il vuoto: le istituzioni che fanno uno stato di diritto non sono affatto ricostruite, né decolla la ricostruzione materiale del paese; il 93% del budget dello stato viene dagli aiuti internazionali, e 25mila soldati stranieri restano presenti. Secondo l'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch il 60% dei parlamentari sono ‟signori della guerra” (comandanti di milizie armate) o persone a loro legati, responsabili di violazioni massicce dei diritti umani o legati al narcotraffico.
Ieri a Kabul la sessione parlamentare è stata quasi interrotta da urla e insulti quando una deputata ha preso a dire che tutti i ‟criminali signori della guerra” dovrebbero essere portati in tribunale invece di sedere in parlamento. Malalai Joya si era già distinta per aver fatto la stessa denuncia due anni fa alla Loya Jirga, il tradizionale ‟gran consiglio” che aveva poi disegnato la costituzione del ‟nuovo” Afghanistan. La giovane donna ieri si è rivolta a Cheney: ‟Il presidente Bush ci deve delle scuse per aver sostenuto dei capi della guerra estremisti, i criminali dell'Alleanza del nord”.
Tra i ‟criminali”, come li ha definiti la deputata, ci sono Abdul Rasul Sayyaf, un comandante mojaheddin che Human Rights Watch accusa di crimini di guerra; Abdul Salaam Rocketi, uno degli ex comandanti Taleban che si sono ‟riconciliati” con il governo Karzai. Né è l'unico: alle elezioni hanno concorso anche l'ex ministro ‟per la virtù e la repressione del vizio”, e il comandante che aveva fatto bombardare le antiche statue dei Buddha. La politica della riconciliazione (con gli ex dirigenti Taleban) è stata voluta da Karzai e dai suoi sponsor, gli Stati uniti. Poi restano gli ‟irriducibili”. Ieri è arrivata alle agenzie di stampa una dichiarazione scritta, attribuita all'ex fondatore dei Taleban, Mullah Omar: ‟Un falso parlamento è stato insediato dal vicepresidente americano”. La resistenza non cala: il 2005 è stato l'anno più sanguinoso per le truppe straniere in Afghanistan dal 2001.
L'inesperienza però è forse il minore dei problemi. L'insediamento del nuovo parlamento afghano è l'ultimo degli atti formali della transizione come era stata delineata nel dicembre 2001 alla conferenza di Bonn, dopo l'operazione militare Usa che cacciò i Taleban. Dietro l'atto formale però resta il vuoto: le istituzioni che fanno uno stato di diritto non sono affatto ricostruite, né decolla la ricostruzione materiale del paese; il 93% del budget dello stato viene dagli aiuti internazionali, e 25mila soldati stranieri restano presenti. Secondo l'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch il 60% dei parlamentari sono ‟signori della guerra” (comandanti di milizie armate) o persone a loro legati, responsabili di violazioni massicce dei diritti umani o legati al narcotraffico.
Ieri a Kabul la sessione parlamentare è stata quasi interrotta da urla e insulti quando una deputata ha preso a dire che tutti i ‟criminali signori della guerra” dovrebbero essere portati in tribunale invece di sedere in parlamento. Malalai Joya si era già distinta per aver fatto la stessa denuncia due anni fa alla Loya Jirga, il tradizionale ‟gran consiglio” che aveva poi disegnato la costituzione del ‟nuovo” Afghanistan. La giovane donna ieri si è rivolta a Cheney: ‟Il presidente Bush ci deve delle scuse per aver sostenuto dei capi della guerra estremisti, i criminali dell'Alleanza del nord”.
Tra i ‟criminali”, come li ha definiti la deputata, ci sono Abdul Rasul Sayyaf, un comandante mojaheddin che Human Rights Watch accusa di crimini di guerra; Abdul Salaam Rocketi, uno degli ex comandanti Taleban che si sono ‟riconciliati” con il governo Karzai. Né è l'unico: alle elezioni hanno concorso anche l'ex ministro ‟per la virtù e la repressione del vizio”, e il comandante che aveva fatto bombardare le antiche statue dei Buddha. La politica della riconciliazione (con gli ex dirigenti Taleban) è stata voluta da Karzai e dai suoi sponsor, gli Stati uniti. Poi restano gli ‟irriducibili”. Ieri è arrivata alle agenzie di stampa una dichiarazione scritta, attribuita all'ex fondatore dei Taleban, Mullah Omar: ‟Un falso parlamento è stato insediato dal vicepresidente americano”. La resistenza non cala: il 2005 è stato l'anno più sanguinoso per le truppe straniere in Afghanistan dal 2001.
Marina Forti
Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …