Giorgio Bocca: Il Cavaliere dell'Apocalisse

09 Gennaio 2006
Posso capirlo, Silvio Berlusconi, come una manifestazione di infantilismo per cui tutti siamo passati. Ricordo una sera che tornavo da una conferenza su Leopardi e mi colse, a quattordici anni, una crisi di gelosia: sì, eri più intelligente di me, mi dicevo, non sarò mai come te, ma tu sei morto e io sono vivo. Poi mi sono rassegnato, mentre Silvio no, lui resta convinto che Leopardi, Dante e nella storia recente Stalin sono peggio di lui.
Stalin lo ha sistemato in televisione: ha mostrato la prima pagina dell''Unità', in morte di Stalin, a una cronista del giornale, piccolina e miserella, e le ha gridato: "Lei è sua complice in 100 milioni di omicidi". Qualcosa di ineguagliabile nel necro umorismo, nel macabro ridicolo. E i presenti, il coro dei servi, non è scoppiato in una risata, hanno fatto la faccia di palta dei servi di un padrone che si dovrebbe cacciare a calci nel di dietro, ma non conviene perché è il padrone di tutto.
Ha un po' esagerato Berlusconi a scegliersi come avversario Baffone, lo zio Stalin, il nemico - padre del genere umano, il vincitore della Seconda guerra mondiale, ma sì quello che fece scampare l'umanità dall'imbianchino austriaco che era pronto a gasarci tutti. Ebbene questo Stalin non è il personaggio storico su cui generazioni di storici e fra essi ego, si sono interrogati sulle sudate carte, non è il prodotto e l'autore di quel cataclisma che fu la Rivoluzione di ottobre. No, è uno spauracchio da usare per la campagna elettorale perché Silvio è uno che bada al concreto, al sodo, quel che gli serve di Stalin lo usa, il resto lo lascia a quelli che perdono il tempo studiando.
Insomma, a lui il problema delle personalità nella storia - quale parte possano avere nei grandi eventi della storia, quale giudizio morale si possa dare di uomini che accettano o cercano queste responsabilità - interessa poco o niente; ciò che gli interessa è che anche loro portino il loro contributo alle sue fortune politiche.
Ragion per cui tutti coloro che, come me, hanno cercato di capire perché la dittatura di un uomo si impose nella costruzione del socialismo in un solo paese assediato dai paesi capitalisti e rinunciò alla rivoluzione mondiale, è una pura perdita di tempo a cui un politico pratico preferisce l'accusa a una giornalista spaurita di essere la complice del più spaventoso eccidio della storia umana, 100 milioni di morti così all'ingrosso.
Ma anche il Cavaliere di Arcore, nel suo piccolo, è uomo di misfatti giganteschi perché il contributo che dà alla distruzione della cultura come faticosa opera collettiva della ragione contro le menzogne e le perverse fantasie è più che notevole. La favola che va raccontando a ogni occasione di un liberalismo filantropico e libertario è francamente indecente, il tentativo dei socialismi più o meno liberali, dei conservatismi più o meno comprensivi, di portare un po' di ordine e di giustizia in questo sanguinoso disordine ancora aperto, e ridurlo al confronto dei buoni con i cattivi, è una idiozia. Il Cavaliere non si accorge che nelle sue sparate contro i regimi autoritari fatte da chi ha per regola la violazione della giustizia, l'uso dei privilegi, la compagnia dei mediocri e arrivisti, è lui a spargere paure autoritarie.
Paure e ritorni perché è stato lui a volere nella sua informazione il revisionismo storico che ha accompagnato il ritorno al governo dei neofascisti, il ritorno nella vita sociale di nostalgie del fascismo, di assurde parificazioni fra partigiani e briganti neri. C'era un solo modo politicamente pulito, onesto, per opporsi allo stalinismo del Partito comunista: rivaleggiare con lui nella lotta per la libertà. Quanti lo hanno fatto?

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …