Marina Forti: Guantanamo afghana, fondi italiani
A Guantanamo sono entrate circa 750 persone dai primi mesi del 2002, per lo più prese prigioniere in Afghanistan durante e subito dopo i bombardamenti che portarono al crollo del regime dei Taleban nell'autunno 2001: «nemici combattenti», secondo l'amministrazione di Washington, che ha rifiutato di riconoscere loro i diritti riconosciuti dalle Convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra. Solo nel 2005, dopo un ordine della Corte Suprema, sono cominciate audizioni per definire lo status e le accuse dei detenuti. Molti sono allora risultati detenuti «per errore». Ad agosto scorso 510 persone erano ancora detenute a Guantanamo; 167 erano state rilasciate (senza imputazioni né una parola di scuse), 67 trasferite alla custodia di altri governi. Sempre in agosto il governo Usa aveva annunciato che 110 dei restanti detenuti di Guantanamo, afghani, saranno presto trasferiti in Afghanistan.
Le forze Usa hanno già i loro detenuti «speciali» in Afghanistan: circa 500 persone, rinchiuse senza accuse o processo nella base aerea di Bagram vicino a Kabul o in quella di Kandahar nel sud, più un numero imprecisato di persone in carceri segrete sparse per il paese, come sospetti terroristi.
Per trasferire i prigionieri di Guantanamo dunque gli Usa hanno bisogno di un luogo apposito in Afghanistan, di massima sicurezza. E questo nuovo carcere speciale, rivela il ‟Financial Times”, sarà appunto Pol-e Charki. Il quotidiano afferma che le Nazioni unite e l'Unione europea hanno resistito al piano americano di farne un carcere per sospetti di terrorismo: ma il mese scorso il Corpo genieri dell'esercito Usa ha annunciato un appalto per la costruzione di celle di massima sicurezza proprio a Pol-e Charki, segno che alla fine è prevalsa la volontà degli americani.
La ristrutturazione del carcere, avviata la primavera scorsa dalle Nazioni unite, fa parte di un progetto più generale per la ricostruzione del sistema giudiziario in Afghanistan. La responsabilità di guidare questo capitolo della ricostruzione è stato affidato all'Italia, che dunque sta coordinando il lavoro: dalla riscrittura dei codici di procedura penale e civile, un codice minorile, la creazione di «corti itineranti», una legge appena approvata sui diritti dei detenuti, la formazione di giudici e avvocati - fino alla riabilitazione della Corte d'Appello e delle carceri di Kabul, e poi delle carceri provinciali. Per questo Roma ha stanziato in tutto 22 milioni di euro negli ultimi tre anni. E' uno degli aspetti migliori dell'impegno internazionale, almeno in teoria: si pensi che oltre metà degli afghani non ha accesso alla giustizia, si legge su ‟Irin News” (bollettino umanitario delle Nazioni unite), e che «nelle prigioni di Kabul ci sono persone detenute da molti anni senza sentenza, e nella prigione femminile ci sono donne "criminali" secondo la tradizione, ma non secondo la costituzione», riconosce il ministro della giustizia afghano Ghulam Sarwar Danish.
La ristrutturazione delle carceri in particolare è stata chiesta dal Unodc, il programma Onu per la lotta alla droga e al crimine: riguarda Pol-e Charki e il Carcere maschile di Kabul, e il centro di detenzione femminile presso la sede centrale della polizia. Per il blocco 1 di Pol-e Charki sono stati stanziati 2 milioni di dollari, di cui uno già fornito dal governo italiano. Il lavoro era al 90% completato l'estate scorsa, poi sarà la volta del blocco 2. Ma nel frattempo il nuovo carcere ha cambiato destinazione.