Marina Forti: La Banca mondiale punisce il Ciad
«Abbiamo cercato di aprire un dialogo con il governo del Ciad, ma purtroppo (...) hanno proceduto in modo unilaterale», ha detto Wolfowitz venerdì. Ha aggiunto di aver prima avuto una telefonata di due ore con il presidente ciadiano Idriss Débi, il quale ha sostenuto il sovrano diritto del suo paese a decidere come spendere i suoi redditi - principio che Wolfowitz ha detto di accettare, solo che qui viola un accordo preso con la Banca in precedenza.
Da N'Djamena sono venute ieri parole indignate: «La decisione della Banca cade in un momento difficile per il Ciad e ci sorprende per la sua brutalità», ha detto il ministro dell'economia Mahamat Ali Hassan. N'Djamena aveva dichiarato fin da ottobre l'intenzione di modificare quella legge sul reddito petrolifero, citando vari problemi di sicurezza: lo stato di guerra strisciante (anzi, ormai dichiarato) al confine con il Sudan, dove il conflitto del Darfur è sconfinato; le diserzioni nell'esercito nazionale, forse preludio a una ribellione contro il governo centrale (la settimana scorsa diversi gruppi ribelli hanno stretto un'alleanza politico-militare per rovesciare il presidente Débi, che a sua volta aveva preso il potere nel `90 con un colpo di stato); infine una crisi fiscale galoppante (il governo ha difficoltà a pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici).
La Banca Mondiale aveva proposto prestiti extra per venire incontro ai «problemi di sicurezza», purché il Ciad non modificasse il vecchio accordo. Questione di credibilità: la Banca ha aiutato il Ciad a diventare un esportatore di petrolio e deve dimostrare che una volta tanto questo serve a far uscire un paese dalla povertà - e non solo arricchire delle aziende multinazionali e una piccola élite corrotta.
Il progetto Ciad Camerun comprende un complesso di pozzi petroliferi nel Ciad meridionale e un oleodotto di un migliaio di chilometri attraverso tutto il Camerun fino alla costa dell'Atlantico. In concessione a un consorzio guidato da ExxonMobil, è il più grande investimento privato in Africa, 4,2 miliardi di dollari (di cui la Banca Mondiale ha coperto il 4%, aiutando così a mobilitare altri finanziatori). Il progetto è stato però circondato da proteste nei due paesi africani, in Europa e negli Usa, sia per problemi di impatto ambientale, sia di risarcimenti, trasparenza, uso delle risorse, diritti delle popolazioni locali, democrazia.
Il risultato di proteste, denunce, consultazioni locali e campagne internazionali è stato un accordo senza precedenti. La legge approvata a N'Djamena nel 1999 prevede che tutte le royalties versate dal consorzio petrolifero vadano su un conto vincolato presso la Citibank a Londra; solo le tasse sul reddito petrolifero vanno direttamente nelle casse dello stato. Del conto vincolato, il 10% va in un fondo «per le generazioni future», il 72% va speso per la «lotta alla povertà» (sanità, scuola, infrastrutture, agricoltura etc), il resto diviso tra il governo centrale e quello della regione petrolifera.
Una notevole cessione di sovranità, è ben vero. La nuova legge ora elimina l'accantonamento per il futuro, inserisce le armi tra le priorità di spesa e aumenta al 30% la quota a disposizione del governo. I pochi deputati dell'opposizione e molte organizzazioni sociali ciadiane sostengono per la verità che la crisi fiscale non dipende dalla mancanza di risorse ma da malversazioni e gestione corrotta - come dice Gilbert Maoundonodji, capo di una coalizione civile per il monitoraggio del progetto petrolifero, a Irin News (bollettino umanitario dell'Onu).
Da entrambe le parti è rimasta una porta aperta: «E' una sospensione, non una fine» ha detto Wolfowitz. E il governo di N'Djamena si è detto disponibile a prendere misure (non specificate) per risolvere la questione.