Massimo Mucchetti : Il mal sottile che ha minato l’Opa Unipol

16 Gennaio 2006
Se l’Unipol non avesse provato a scalare la Bnl, ben pochi si sarebbero presi cura di scavare nel mondo delle cooperative e di contestare duramente, come adesso fa Confindustria, la legittimità dei loro investimenti finanziari. Ma l’Opa sull’ex banca del Tesoro, uno dei santuari del potere nazionale, è stata lanciata e si è infranta contro la Banca d’Italia del dopo Fazio, che le ha negato l’autorizzazione. E allora è bene capire quale sia stato il mal sottile che ha minato quell’ambiziosa operazione e ora costringe l’intero movimento cooperativo a ripensare sé stesso. La Banca d’Italia spiega il suo veto con la mancanza dei requisiti patrimoniali minimi da parte del conglomerato finanziario Holmo-Unipol-Bnl. E’ un responso che viene formulato a sei mesi dalla prima informativa alla Vigilanza nella quale già erano esposti l’impegno previsto e la sua copertura attraverso l’aumento di capitale, la cessione di minoranze azionarie e un certo ricorso al debito. Come mai ci è voluto tanto? Ci sarà tempo e modo per ricavare una risposta puntuale dall’analisi del provvedimento della Banca d’Italia, se e quando sarà pubblicato sul sito di Unipol, come sarebbe augurabile in omaggio a una nuova stagione di accountability dopo gli anni della moral suasion che rendevano poco leggibili dal mercato le responsabilità del vigilante e dei vigilati. E sarà, questo, un esercizio importante perché questo caso ‟fa giurisprudenza”. Ma fin d’ora è chiaro che le indagini giudiziarie sui rapporti di Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, fino al 9 gennaio 2006 presidente e vicepresidente della compagnia, con il banchiere Fiorani e con il finanziere Gnutti hanno suscitato dubbi crescenti sulla qualità dell’offerente Unipol e, di riflesso, possono aver eroso la congruità dei conti dell’operazione. Quando i procuratori indagano, è normale per la Vigilanza dare un giro di vite e passare da una visione dinamica dei requisiti patrimoniali, che in passato consentì altre acquisizioni da parte di cacciatori più piccoli della preda, a una visione ancorata al presente, e dunque più restrittiva. Il mal sottile che ha tarpato le ali all’Unipol si trova, dunque, nelle relazioni pericolose dei suoi leader. E tuttavia Consorte e Sacchetti non sono ‟mostri”. Avranno pure coltivato interessi personali, ma hanno anche perseguito un disegno più ampio e più ambiguo dove la promozione di un gruppo di potere assortito con troppo cinismo veniva presentata come alternativa al capitalismo dei ‟soliti noti” (peraltro non privo di peccatori) e come garanzia economica del ruolo politico della sinistra. Un eccesso di realismo che ha annacquato l’ispirazione originaria delle coop e il loro spirito critico, se lo stesso presidente della Lega, Giuliano Poletti, ancora il 13 agosto 2005, invitava ad aprire le porte di Rcs a un Ricucci finanziato da Fiorani con queste parole dettate al ‟Quotidiano nazionale”: ‟Credo che il tentativo di chiudere fuori dalla porta del cosiddetto salotto buono un bravo imprenditore di successo sia il sintomo di un conservatorismo privo di prospettive”. Ora le coop ripartono dagli anticorpi. Non a caso Turiddo Campaini, che ha tenuto fuori Unicoop Firenze dalla partita persa, è stato promosso alla presidenza di Finsoe, la società che controlla Unipol. Campaini è un toscano che investe in banca non meno dei colleghi emiliani, ma con prudenza: per sostenere la Fondazione Mps nel Monte dei Paschi di Siena, non per conquistare la Bnl assieme a compagnie sbagliate. Da qui, e dall’aumento di capitale incassato ma non speso da Unipol, comincia una nuova partita.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …