Enrico Franceschini: Barak: Così, vestito da donna colpii i responsabili della strage

26 Gennaio 2006
Pensa ancora a quella notte in cui sbarcò a Beirut travestito da donna, Ehud Barak, per assassinare tre dirigenti palestinesi responsabili della strage di Monaco? ‟Ci penso spesso. Non è qualcosa che si può dimenticare, sa? E voglio confidarle una cosa: quando fui nominato capo di Stato Maggiore, una delle nostre donne-soldato, con i gradi di tenente, mi accolse nel mio nuovo ufficio per spiegarmi come funzionava. Le domandai come si chiamava e rispose: ‘Romana’. Chiesi se per caso era parente dell’atleta israeliano dallo stesso nome trucidato dai terroristi alle Olimpiadi. ‘Sono la figlia’, rispose. Erano ebrei di origine italiana, come suggeriva il nome. Avrei voluto abbracciarla, quel giorno, dirle cosa avevo fatto agli assassini di suo padre. Ma il mio ruolo era ancora coperto dal segreto di stato, e tacqui”. Con una parrucca nera da donna in testa, le guance incipriate, due granate nascoste nel reggiseno e la pistola col silenziatore nella borsetta, Barak guidò l’unità che allora comandava, ‟Sayeret Metkal”, i leggendari commandos d’élite delle forze armate israeliane, nel cuore del territorio nemico, fino alla capitale del Libano. I tre dirigenti palestinesi considerati da Israele i mandanti del massacro alle Olimpiadi furono eliminati. ‟Con loro, purtroppo, dovemmo uccidere anche sette gendarmi libanesi e due donne che ci ritrovammo davanti”, ricorda al telefono da Tel Aviv l’ex-militare più decorato al valore nella storia dello Stato ebraico e l’ex-primo ministro che nel 2000 andò più vicino di chiunque altro a firmare la pace con Arafat. Quella missione, ribattezzata "Primavera di bellezza", fu giudicata un successo pieno. Ma Munich, il film di Steven Spielberg sulla rappresaglia israeliana, si concentra sull’altra operazione, "Vendetta di Dio", in cui furono uccisi per errore anche dei palestinesi innocenti, che con la strage non c’entravano niente. Il messaggio del regista americano sembra essere che la morale biblica, occhio per occhio, dente per dente, non paga; e che adottando i metodi dei nostri nemici, diventiamo come loro. Non è così? ‟No, non è così, perché non siamo diventati come loro e perché quello che facemmo io e i miei compagni era esattamente l’opposto di ciò che hanno fatto i terroristi palestinesi a Monaco”, risponde Barak. ‟Sa cosa dicevo ad Arafat, quando mi chiedeva di rilasciare certi detenuti palestinesi? Dicevo che non potevamo liberare chi si è "bagnato le mani di sangue". Arafat allora osservava che anch’io ho le mani bagnate di sangue, del sangue di palestinesi, e che è la stessa cosa. Ma non è la stessa cosa, cercavo di spiegarli e spiego oggi a chi traccia un simile parallelo. Noi agivamo su ordine di un governo democraticamente eletto, facendo tutto il possibile, nelle nostre azioni, per non causare danni ai civili, per non colpire degli innocenti: non sempre ci riuscivamo, ma l’intento era quello. I terroristi palestinesi invece agivano con l’intento opposto, causare più danni possibili a chiunque si trovasse preso in mezzo, a Monaco '72 come in seguito. E non si possono equiparare, sul piano morale, due scelte così diverse”. In Europa, osservo, non tutti la vedono così. ‟E io invece credo che qualunque paese democratico, se potesse colpire i terroristi che l’hanno ferito sapendo di non poterli catturare e mettere sotto processo, farebbe quello che abbiamo fatto noi”. Ma perché la sua missione a Beirut filò liscia e quella in Europa assai meno? ‟Perché sbarcare a Beirut era difficile per il Mossad e perciò il compito fu affidato a noi militari, potrei rispondere. In realtà queste operazioni sono come camminare su una corda sospesa nel vuoto: la differenza tra successo e fallimento, mi creda, è questione di un’inezia”.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …