Giorgio Bocca: Olimpiadi. Ma per Torino sarà una festa

09 Febbraio 2006
Torino olimpica sembra voler dimenticare i decenni della company town, della città fabbrica, per scatenarsi in una frenesia olimpica. Che gli è preso ai bogia nen? Corrono da piazza Castello al Lingotto, dal Po a Venaria a inaugurare villaggi olimpici, orrendi archi d’acciaio dipinti di rosso, metropolitane per Rivoli che si fermano a Collegno e fanno la coda in diecimila, in ventimila per provare quel grosso tram, come se fosse una astronave marziana. Cosa gli è preso ai torinesi? Recitano, ballano, cantano, hanno trasformato il museo egizio in uno spettacolo psichedelico, luci abbaglianti che cercano nel buio faraoni non si sa bene se vivi o morti nei loro sarcofagi. Combinano cose assurde, come multare i negozi che espongono i cerchi olimpici perché non è ben chiaro che cosa in questo spettacolo colossale è spirito olimpico o pedaggio o furto. E in tutti i salotti della città sono spuntate a migliaia nobildonne piemontesi che offrono dolci, moda, mostre d’arte, feste. Una la darà la principessa di Inghilterra, un’altra un miliardario americano, e si farà la coda al Cambio per pranzare al tavolo di Cavour, in attesa che il segretario lo richiami in ufficio sventolando un fazzoletto da una finestra del ministero delle Finanze che oggi è diventato un ristorante di lusso. Non c’è angolo, memoria, tradizione, arte torinese che non sia stata mobilitata per le Olimpiadi e questa dislocazione dei giochi metà al Sestriere metà alla Torino del Lingotto, un po’in Val di Susa sotto i forti sabaudi che salgono sulle montagne e un po’delle valli dei barbeti valdesi. Ai sociologi spetta il compito di immaginare teorie sul ruolo di Olimpia nella storia torinese. L’avvenimento sportivo e mondano dovrebbe avere lo stesso effetto miracoloso che ebbe la sferzata risorgimentale del trasferimento della capitale a Firenze. Dovrebbe liberare energie nascoste, rivincite, genius loci trascurati. Chi conosce Torino sa che l’attesa di questo miracolo è vecchia di almeno quindici anni. Sa che studiosi della città come Marco Revelli l’hanno percorsa e scavata in ogni senso. Sa che non è di oggi l’aspettativa torinese di diventare una città normale, dove non sia obbligatorio aspettare che gli Agnelli decidano come si deve vivere e cosa si deve fare. Sono anni che in tutto il semicerchio attorno alla città, lungo la circonvallazione autostradale, nascono città satelliti, cooperative di ingegneri, centri di ricerca e di studio che non sono la Fiat, e che viaggiano per conto loro. Eppure la città non è ancora sicura del suo nuovo destino. E lo cerca anche in questo grande baraccone che sono le Olimpiadi. Per noi che a Torino abbiamo vissuto e lavorato per anni, la storia di Torino finisce ancora con la marcia dei quarantamila, con quella restaurazione che è l’inizio del nuovo e dell’ignoto in cui tuttora viviamo. Le Olimpiadi di Torino offrono l’ultimo esempio di questo ignoto, la loro contestazione da parte di una opposizione allo stato nascente e fluido, un coagulo improvviso di no global, no Tav. Fausto Bertinotti, che è persona intelligente ma che vuol posare il suo sale su tutte le code, ha detto in materia cose incomprensibili e contraddittorie: è dalla parte di chi contesta le Olimpiadi se esse sono usate per delegittimare il conflitto sociale, ma poi fa marcia indietro e si allinea al messaggio di Ciampi che esorta gli italiani a cogliere l’occasione che l’Olimpiade offre. E sembra più ragionevole Fassino quando dichiara: ‟L’idea che le Olimpiadi debbano essere contestate nel nome di non si sa che cosa è un atteggiamento di luddismo culturale poco comprensibile”. Poco comprensibile ma purtroppo reale. Chiedere all’Olimpiade di risolvere la follia del mondo che arriva anche nelle valli piemontesi è irreale. In questi giorni il mondo è insanguinato e funestato da scontri che vedono impegnate masse di persone, solo perché sono usciti sui giornali danesi disegni satirici sul profeta Maometto. L’altra faccia del miracolo cinese sono i contadini assunti dalle imprese edili (anche pubbliche) che non vengono pagati, sono il giornalista picchiato e ucciso dalla polizia perché ne denunciava i furti, sono l’Iran che vuole ad ogni costo l’atomica e chiede la distruzione di Israele, sono la guerra in Iraq che è costata più di ogni preventivo, sono il fascismo rinascente negli stadi di calcio fuori da ogni ragione, striscioni che celebrano la soluzione finale dell’Olocausto e le persecuzioni razziali. A tutto questo l’Olimpiade non potrà porre nessun rimedio. Ma non aggiungerà danni. Sarà comunque una festa per Torino. Leggo che gli sciatori americani hanno occupato un circolo di canottieri dove un tempo c’era il night del maestro Angelini. Ci saranno feste e danze su tutta la collina. Ci saranno finanziere e bagne caude in tutti i ristoranti. L’alta velocità è un’altra cosa. Solo Bertinotti è sempre la stessa cosa.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …