Marina Forti: Gli iraniani sono parte della società mondiale
17 Marzo 2006
I riformisti? ‟Era il movimento riformista che era importante, non i riformisti in sé”, dice Mohammad Ali Abtahi, già ministro della presidenza e poi vicepresidente della repubblica iraniana durante i due mandati di Khatami. Abtahi, 45 anni, è un mullah; lo trovo seduto a un computer in un ufficio dell'Istituto per il dialogo interreligioso che dirige, a Tehran. ‟Il governo di Khatami aveva più che altro creato un terreno di dialogo”, dice: ‟Ha lanciato proposte di apertura sociale. Poi è stato scavalcato da ciò che ha messo in moto: e oggi, dopo otto anni, le aspettative sono cresciute. Così ora un governo che vuole il ritorno a principi fondamentalisti si trova di fronte una società cambiata”. Cambiata lo è davvero, in senso demografico e sociologico - basti pensare che il 50% degli iraniani ha meno di vent'anni (e il 60% meno di 30), o che gli studenti all'università sono quadruplicati negli anni `90, il decennio dopo la guerra Iran-Iraq, e il 65% dei nuovi iscritti sono donne. ‟Pensi, ci sono 8 milioni di computer in Iran, collegati a Internet: con una media di tre utenti per computer, 24 milioni di persone navigano abitualmente sulla rete”, dice Abtahi. Uno studio recente aggiunge che il 49% degli utenti di internet iraniani sono donne (una delle poche aree in cui non sono discriminate), e che il 54% sono sotto i 30 anni. Sono quelli che la sociologia iraniana definisce ‟terza generazione”, cresciuta dopo la rivoluzione e dopo la guerra, ‟globalizzata” proprio grazie a internet e alle antenne tv satellitari. ‟Internet li rende parte di una società mondiale”, continua Abtahi: ‟Gli iraniani conoscono i propri diritti, anche se spesso non riescono a goderne. Ripeto, le aspettative della società sono cambiate: un accidente elettorale fa sì che gli ultra conservatori siano al governo, ma la società è altro da loro”.
La rete, intesa come Internet, è il punto d'osservazione privilegiato per l'ex vicepresidente. In effetti Abtahi è noto ormai in Iran soprattutto come l'autore di un weblog molto seguito; vi scrive da due anni e mezzo (‟non ho saltato un solo giorno”) e ha una media di 20mila visitatori quotidiani: ‟Nel mio weblog non ho link ad altri siti, quindi chi visita non è di passaggio. Sono arrivato a picchi di 37mila, nel periodo delle elezioni”. Ha notato dei cambiamenti nei suoi interlocutori? ‟Sì, elezioni presidenziali di giugno sono uno spartiacque. Prima, quando scrivevo che "dobbiamo partecipare al voto, prendere in mano il nostro destino", avevo risposte scettiche. Dicevo: se gli iraniani fossero scesi per strada, il giorno del colpo di stato contro Mossadeq [il premier che nel 1952 nazionalizzò il petrolio e fu rovesciato da un complotto americano e britannico, ndr], forse avremmo evitato 25 anni di dittatura; se andremo a votare salveremo le riforme. Dopo le presidenziali il tono è cambiato. Molti erano sotto shock, e lo sono ancora”.
Perché un mullah, per di più con un ruolo pubblico, scrive un blog? Abtahi ride: ‟Sono sempre stato attratto dai mezzi di comunicazione. Quando avevo 17 anni, alla scuola dei mullah, avevo avuto una piccola telecamera e volevo sempre filmare tutto. Quando è arrivata internet ho cominciato subito a lavorarci. Ai tempi della vicepresidenza scrivevo a volte sui giornali ma ero tenuto a una certa formalità: sulla rete ho trovato uno spazio più informale. Certo, poiché avevo un ruolo nel governo avevo anche molti occhi puntati addosso”. In effetti Abtahi è stato accusato di sostenere sul suo blog idee troppo libere circa i costumi e la società, soprattutto quando nel parlamento è tornata una maggioranza conservatrice ad assediare il governo di Khatami. ‟Ora ho più libertà? Sì, ma mi mancano gli spunti che avevo come insider... Però continuo”.
I suoi interlocutori sul web sono per lo più giovani e di centri urbani, spiega; classe media o comunque buona scolarizzazione, in parte uguale donne e uomini (ride: ‟le donne mi mandano messaggi personali, gli uomini commenti verbosi”); solo il 35% scrive dall'estero. ‟Scrivono di solito i membri più forti della famiglia, i più istruiti e consapevoli. Grazie a loro, anche chi non usa internet viene a conoscere ciò che circola in rete”.
Purtroppo, continua Abtahi, al di fuori del web (‟che non è ancora alla portata di tutti”) i riformisti non riescono a far sentire le proprie opinioni. ‟Non abbiamo accesso i media: la tv è di stato e i giornali sono supercontrollati. La società civile organizzata in Iran è fragile; lo stato ha sistematicamente impedito lo sviluppo di forze politiche o di organizzazioni non governative. Al momento la cosa migliore che possiamo fare è mettere in luce le debolezze del sistema. Ad esempio: il presidente ha vinto, oltre che grazie una certa manipolazione del voto, per i suoi slogan sull'economia, la corruzione, i poveri. Ma da quando è insediato punta tutto sulla politica estera, l'agitazione patriottica sul nucleare”, scordando le promesse di giustizia sociale. ‟L'energia nucleare è un nostro diritto, ma questo governo ci sta portando a uno scontro che non è nell'interesse del paese. Non dimentichiperò che gli iraniani sono giovani e fanno parte di una società globale. Che il potere lo voglia o no, non potranno impedire il cambiamento”.
La rete, intesa come Internet, è il punto d'osservazione privilegiato per l'ex vicepresidente. In effetti Abtahi è noto ormai in Iran soprattutto come l'autore di un weblog molto seguito; vi scrive da due anni e mezzo (‟non ho saltato un solo giorno”) e ha una media di 20mila visitatori quotidiani: ‟Nel mio weblog non ho link ad altri siti, quindi chi visita non è di passaggio. Sono arrivato a picchi di 37mila, nel periodo delle elezioni”. Ha notato dei cambiamenti nei suoi interlocutori? ‟Sì, elezioni presidenziali di giugno sono uno spartiacque. Prima, quando scrivevo che "dobbiamo partecipare al voto, prendere in mano il nostro destino", avevo risposte scettiche. Dicevo: se gli iraniani fossero scesi per strada, il giorno del colpo di stato contro Mossadeq [il premier che nel 1952 nazionalizzò il petrolio e fu rovesciato da un complotto americano e britannico, ndr], forse avremmo evitato 25 anni di dittatura; se andremo a votare salveremo le riforme. Dopo le presidenziali il tono è cambiato. Molti erano sotto shock, e lo sono ancora”.
Perché un mullah, per di più con un ruolo pubblico, scrive un blog? Abtahi ride: ‟Sono sempre stato attratto dai mezzi di comunicazione. Quando avevo 17 anni, alla scuola dei mullah, avevo avuto una piccola telecamera e volevo sempre filmare tutto. Quando è arrivata internet ho cominciato subito a lavorarci. Ai tempi della vicepresidenza scrivevo a volte sui giornali ma ero tenuto a una certa formalità: sulla rete ho trovato uno spazio più informale. Certo, poiché avevo un ruolo nel governo avevo anche molti occhi puntati addosso”. In effetti Abtahi è stato accusato di sostenere sul suo blog idee troppo libere circa i costumi e la società, soprattutto quando nel parlamento è tornata una maggioranza conservatrice ad assediare il governo di Khatami. ‟Ora ho più libertà? Sì, ma mi mancano gli spunti che avevo come insider... Però continuo”.
I suoi interlocutori sul web sono per lo più giovani e di centri urbani, spiega; classe media o comunque buona scolarizzazione, in parte uguale donne e uomini (ride: ‟le donne mi mandano messaggi personali, gli uomini commenti verbosi”); solo il 35% scrive dall'estero. ‟Scrivono di solito i membri più forti della famiglia, i più istruiti e consapevoli. Grazie a loro, anche chi non usa internet viene a conoscere ciò che circola in rete”.
Purtroppo, continua Abtahi, al di fuori del web (‟che non è ancora alla portata di tutti”) i riformisti non riescono a far sentire le proprie opinioni. ‟Non abbiamo accesso i media: la tv è di stato e i giornali sono supercontrollati. La società civile organizzata in Iran è fragile; lo stato ha sistematicamente impedito lo sviluppo di forze politiche o di organizzazioni non governative. Al momento la cosa migliore che possiamo fare è mettere in luce le debolezze del sistema. Ad esempio: il presidente ha vinto, oltre che grazie una certa manipolazione del voto, per i suoi slogan sull'economia, la corruzione, i poveri. Ma da quando è insediato punta tutto sulla politica estera, l'agitazione patriottica sul nucleare”, scordando le promesse di giustizia sociale. ‟L'energia nucleare è un nostro diritto, ma questo governo ci sta portando a uno scontro che non è nell'interesse del paese. Non dimentichiperò che gli iraniani sono giovani e fanno parte di una società globale. Che il potere lo voglia o no, non potranno impedire il cambiamento”.
Marina Forti
Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …