Gian Antonio Stella: Giovanardi contro l’Olanda, un caso di Stato

20 Marzo 2006
Scusa? Figuratevi se chiede scusa. Del bon ton internazionale, che impone di andar cauti nei giudizi sugli affari interni degli altri Stati, a Carlo Giovanardi non importa niente. La sparata contro l’Olanda, lui, l’aveva già fatta. Solo che l’altra volta, occhio non vede, cuore non duole, ambasciatore non protesta, la cosa era sfuggita. E sì che aveva cannoneggiato non meno forte. Era il settembre di due anni fa. Mezza Italia parlava del manifesto che aveva fatto affiggere. Il manifesto con la foto di una parata nazista, Adolf Hitler e poche parole pesantissime contro la raccolta di firme per il referendum sulla procreazione assistita: ‟Anche loro avrebbero firmato”. Investito da roventi polemiche e da inviti alle dimissioni, aveva fatto spallucce dando un paio di interviste per ribadire il concetto e rincarare la dose: ‟Scioccante il manifesto? Scioccante è ciò che sta accadendo. È aberrante che in Olanda permettano l’eutanasia per i bambini...”. E guai a eccepire sul paragone con la croce uncinata: ‟È aberrante voler cancellare la legge sulla fecondazione assistita, senza nemmeno proporre modifiche o cercare di discuterne insieme”. La selezione genetica, aveva insistito, ‟fa parte del folle progetto nazista secondo cui tutto ciò che è imperfetto dev’essere eliminato”. Peggio: ‟I Radicali fanno un passo in più rispetto all’aborto terapeutico: quando l’embrione, che è un essere umano in divenire, presenta dei difetti, allora deve essere eliminato...”. Non bastasse, tra la selva di proteste radicali che lo accusavano di essere un talebano, aveva aggiunto: ‟È Daniele Capezzone il vero talebano. Spero che non organizzino campi di concentramento per i dissidenti”. Inutili gli inviti dei colleghi di partito e degli amici di governo ad abbassare i toni. Irruento, generoso, fumantino, quando una cosa gli gira per la testa non riesce a tenersela. ‟Conta fino a dieci!”, gli dicono a volte gli amici. Macché. Modenese, avvocato, un fratello gemello che si chiama Daniele, fa il medico, guida le Confraternite Misericordie ed è stato spesso nel mirino di no global e violenti vari (qualcuno arrivò a mandargli un pacco-bomba), Giovanardi è uno di quei dicì che, nella più rossa della rossa Emilia, è nato e cresciuto all’opposizione. Al punto che dopo esser diventato ministro, ruolo che avrebbe svolto rispondendo nella legislatura appena finita a 563 quesiti urgenti (supplendo all’insofferenza non solo del Cavaliere ma anche di molti altri colleghi ministri per le regole e i riti delle Camere) raccontò: ‟Mi sconvolge che ora qualcuno mi dia ragione. All’opposizione, avevo sempre torto. Checché ne dicano i comunisti, nelle regioni rosse lo spazio per gli avversari è zero”. Ora si vendica, gli chiese Giancarlo Perna. E lui: ‟Guai cadere nello stesso errore. Proprio perché l’ho fatta, rispetto molto l’opposizione. Mai pensato che chi ha il 51% abbia tutte le ragioni e chi il 49 tutti i torti”. Eletto la prima volta nel ‘92, vigilia del crollo della Dc, salutò l’irruzione dei giudici levando cori di giubilo. La lettera che mandò il 20 maggio ‘92 al ‟mitico Tonino”, circondato allora da un’areola di santità, è un documento prezioso, anche nel dettaglio dell’uso di maiuscole e minuscole: ‟Caro Di Pietro, sento il dovere di ringraziarla per la professionalità e il senso della misura con i quali conduce la difficile inchiesta a Lei affidata. Voglio esprimerLe la piena solidarietà per la coraggiosa azione Sua. (...) Sappia che all’interno del cosiddetto palazzo c’è chi fa il tifo per Lei”. Anni dopo, in un’intervista a Radio Maria, arrivò a paragonare i martiri cristiani dei primi secoli ai democristiani colpiti dalle inchieste di ‟Mani pulite”: ‟I primi sono saliti alla gloria degli altari, i secondi sono guardati ancora con ostilità e disprezzo anche da una parte dello stesso mondo cattolico”. Per non dire di come si sfogò con Sette: ‟Non perdonerò mai chi ha fatto carriera appoggiandosi sulla pila di cadaveri dei miei vecchi amici di partito. Ho conservato tutti gli articoli sugli arresti dei miei colleghi”. Così è fatto: raffinatissimo nella scelta dei francobolli, se è vero che ha una gran collezione ed è in grado di discettare sui saggi scritti iper-specialistici scritti intorno all’uso politico del francobollo, ha su tutto il resto la finezza dei boscaioli alle prese con un tronco. Impugnata l’ascia, va. Dove piglia piglia. Basti ricordare il modo in cui a ‟Porta a porta”, arrivò a correggere Giuliano Ferrara perché gli pareva troppo moscio. E avendo quello detto che l’Unità era ‟un foglio tendenzialmente omicida”, l’aveva rimbeccato: ‟Tendenzialmente?”. Al che l’altro aveva rincarato: ‟Omicida, proprio omicida, è un foglio che predica odio e annientamento dell’avversario”. E lui, finalmente soddisfatto: ‟Esatto”. Appassionato sostenitore delle ragioni degli italiani rimasti in Istria e in Dalmazia, nemico focosissimo degli spinelli, delle luci psichedeliche (‟Tu stai lì e il mondo ti gira intorno e i medici spiegano che dopo una notte trascorsa così, con la tecno che ti martella i timpani, e magari l’alcol e altre cosette, il tuo fisico non regge”), dei comunisti in ogni variante (‟Mi impressiona che un partito si chiami Rifondazione comunista: mi farebbe la stessa impressione Rifondazione nazista”) è benedetto da tutti i giornali per la foga dichiaratoria. Che sia Natale o Ferragosto, che si parli di rane o biomasse, lui c’è: ‟La fa un’intervista?”. ‟Pronto!”. Ogni tanto, sbrocca. Come la volta che disse che le donne in Italia non fanno politica perché non ‟gliene frega niente”. Anche quelle del suo schieramento volevano sbranarlo. Lui ci fece su una risatina e, da buon mediano, ripartì a testa bassa.

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …