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Mai visto tanto imbarazzo tra gli amici nel dichiarare e scegliere per chi votare. L’indecisione non riguarda ovviamente la coalizione guidata da Prodi, né nulla distrae dal votare contro le destre rovinose che hanno squassato l’Italia in un turbine di spudorata indecenza. Ricordiamo come fin dal 1994 Berlusconi espresse en passant il suo vero programma: ‟il Parlamento (cioè la democrazia, n.d.r.) è un intralcio perché fa perdere tempo”. Ecco, siamo dalla parte di ciò che ‟fa perdere tempo”, ciò che crea disturbo o intralcio ad una governabilità ispirata al modello aziendale, manageriale e quantitativo - sottomessa al profitto indipendentemente dalla qualità delle vite di chi vi concorre. ‟Rumore nel canale di comunicazione”, cioè opacità, irriducibilità, è ciò che nella teoria dell’informazione designa la poesia (la letteratura) rispetto al linguaggio del comando o della semplificazione assoluta. Vorremmo votare per chi rappresenta questo rumore, cioè questa pensosità. Non solo per chi ha a cuore la vita reale della gente, per chi si indigna di fronte alle code agli sportelli dei ticket all’ospedale, ma per chi le persone in coda non le chiama utenti, ma cittadini e pazienti. Alla vigilia elettorale mi pare di capire che l’imbarazzo mio e degli amici sia sintetizzato in una fulminante vignetta di Massimo Bucchi: ‟Stiamo commissionando un sondaggio per sapere quanti di noi la pensano come loro”. Il problema è a monte, nell’appiattimento della politica ad amministrazione dell’esistente, senza il brivido, se non di un’utopia, di una riflessione filosofica che possa spianare la strada a diverse alternative: vogliamo una società che si ispiri al modello del supermercato oppure a quello dell’agorà, alla partecipazione e alla responsabilità dei cittadini o alla loro sottomissione e agonismo, fondata su un senso del futuro oppure una società a breve termine, sul modello dell’uso-e-getta? Il pronunciamento di Prodi contro la precarietà è importante, se ad esso corrisponde la consapevolezza che si tratta di un vero e proprio conflitto di civiltà, di una svolta antropologica. Che l’attuale capitalismo sia punk, cioè senza futuro, lo dicono il protocollo di Kyoto e l’eterno presente dello zapping che orienta le vite di chi si trova oggi nel ‟mercato del lavoro”. Ecco, noi vorremmo votare, all’interno della coalizione del centro-sinistra, per chi offre e manifesta più spessore e pensosità riguardo a questi temi.
Beppe Sebaste
Beppe Sebaste (Parma, 1959) è conoscitore di Rousseau e dello spirito elvetico, anche per la sua attività di ricerca nelle università di Ginevra e Losanna. Con Feltrinelli ha pubblicato Café Suisse e altri luoghi di sosta (1992), Niente di tutto questo mi appartiene (1994), Porte senza porta. Incontri con maestri contemporanei (1997; poi ripubblicato in Il libro dei maestri. Porte senza porte rewind, luca sossella, 2011). Tra i suoi ultimi libri, Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne e Oggetti smarriti e altre apparizIoni, entrambi con Laterza. Per Feltrinelli ha curato e tradotto ne "I Classici" Le passeggiate del sognatore solitario di Jean-Jacques Rousseau (2012) e I miei amici di Emmanuel Bove (nuova ed. 2015).