Furio Colombo: Ci sarà un’Italia

12 Aprile 2006
Ha colto nel segno l’Unità di ieri: Berlusconi se ne va. È la vera, la grande notizia che cambia la vita italiana, compensa la fatica e la tenacia di chi non ha smesso mai - come questo giornale - di indicare in lui il pericolo per la Repubblica, la profonda distorsione che aveva travolto e deteriorato la realtà. Fino al punto da non vedere più l’enormità di ciò che ci stava accadendo e che i vicini d’Europa e la stampa del mondo continuavano a farci notare, cercando di risvegliarci, meravigliati dalla curiosa impassibilità di illustri commentatori e validi giornalisti di fronte a un pericolo che si vedeva bene anche da lontano.
Ma in Italia ti dicevano: ‟E basta con ‘sto conflitto di interessi”. E ‟smettiamola di demonizzarlo, perché se no facciamo il suo gioco”. Ma lui il suo gioco, a causa del gigantesco conflitto d’interessi, che si estende dal suo banchiere Fiorani ai suoi giornalisti che lo mettono in onda quando vuole, con fiero disprezzo di quella miseria della ‟par condicio”, lo ha fatto come ha voluto.
Lo ha fatto impiegando senza scrupoli tutti i suoi mezzi, col pieno uso e abuso del suo potere di dire quello che vuole, quando vuole.
L’incubo finisce nel momento in cui siamo autorizzati dai risultati elettorali a usare i verbi al passato. Berlusconi era il caimano, e non c’era niente di grottesco o di esagerato, o di ‟attacco che fa il suo gioco” in quella scena finale del film di Nanni Moretti. Effettivamente Berlusconi esce dalla scena del suo potere illegale (illegale perché esercitato in pieno conflitto di interessi e dunque contro le regole non solo della democrazia ma anche del codice civile e del corretto capitalismo) dopo avere distrutto tutto quello che poteva distruggere: fiducia e rispetto fra gli italiani, immagine del Paese, condizioni morali (la sua protervia di inquisito che definisce ‟infami” i giudici) e condizioni materiali (la crescita zero, unica al mondo fra le democrazie industriali).
Ma, come se non bastasse tutto il danno che ha accumulato (insieme al ridicolo e al risibile con cui ha divertito alle nostre spalle il resto del mondo) Berlusconi ha combattuto casa per casa, prima di lasciare (come lascerà, splendida prospettiva) il potere. Nell’assemblea della Confindustria, a cui teoricamente appartiene, si è battuto per fare tutto il danno possibile, dividendo, accusando, diffamando, mostrando che il suo scopo era di lasciare solo rovine. Nell’assemblea della Confcommercio ha insultato con deliberata volgarità metà del Paese, e dunque metà di coloro che lo ascoltavano, intento a provocare ancora più spaccatura, ancora più animosità, ancora più rancore, ancora più sospetto, ancora più impegno a combattersi fra italiani (e persino nel mondo del consumo, che tipicamente cerca armonia, perché la gente incattivita non compra).
Dalle tribune delle sue incursioni elettorali nel mondo dei media, che per lui ha spalancato le porte del conflitto di interessi e del dominio illegale delle notizie, ha usato tutto il talento negativo di cui è dotato, tutte le risorse distruttive che sono la sua arma di comunicazione, per aumentare la spaccatura dentro il Paese. Nella conferenza stampa, cupa, allarmante, da Repubblica di Weimar, che ha tenuto nel pomeriggio dell’11 aprile, Berlusconi propone minacce. Sono minacce pesanti, se pronunciate da un uomo che può comprare di tutto, e che non si da pace di non aver potuto piegare più di metà del Paese.
Non c’è alcun precedente, nelle culture democratiche, di un lavoro così intenso e continuo di attacco e screditamento con cui Berlusconi ha tracciato i confini di un suo virtuale campo di concentramento mentale nel quale relegare le figure e le immagini che non si devono vedere e non si devono sentire. Ho detto ‟campo di concentramento mentale”. Ma non dimenticate che è molto forte la capacità mentale di un uomo immensamente ricco e disposto a governare violando leggi e decenza, e sfuggendo alle sentenze per corruzione e falso che lo inseguono, di trasformare in fatto fisico, in evento reale ciò che desidera. Voci hanno taciuto e figure sono scomparse in questi anni. E in questi anni scomparire dalla radio, dalla televisione, dai grandi giornali, vedersi tagliare con scrupolosa pignoleria ogni pubblicità e moltiplicare, attraverso l’immensa compiacenza dei volontari, le fonti di denigrazione, è un buon modo per rendere effettiva e reale la lista di proscrizione che un primo ministro in apparenza democratico ha imposto all’Italia.
Una tale cappa di conformismo e silenzio è disceso sul mondo della gran parte della informazione italiana, da separarla drasticamente dalla informazione del mondo. Per sapere quanto è grande questa differenza vi basterà osservare che i senatori eletti all’estero, con l’eccezione di uno, hanno aderito a Prodi e al governo dell’Unione. Perché ciò che sanno dell’Italia lo hanno appreso da corrispondenze e commenti e dalle televisioni dei Paesi in cui vivono e in cui non vige né il dominio della Rai Pionati-Vespa, né quello di alcuni commentatori italiani di buona firma. Infatti, anche in queste ore, mentre nella sede della Lega Nord di Milano gli uomini di Bossi si stanno prendendo a botte, c’è chi si preoccupa sinceramente (per la milionesima volta, ma senza imbarazzo) di quanto sia diviso il centrosinistra e di come si farà a governare.
E se lo chiedono mentre tutti sostiamo su detriti e macerie della legge elettorale più vergognosa, la ‟porcata” che la gente di Berlusconi ha preparato come trappola per rendere l’Italia ingovernabile.
L’intento distruttivo è stato forte e purtroppo continua. Senza uomini come Marcello Pera alla presidenza del Senato, come Roberto Castelli alla Giustizia, come Tremonti a manomettere i conti dello Stato, riuscirà difficile a Berlusconi imporre i suoi interessi e far votare con la consueta fretta e il consueto voto di fiducia (mentre intanto si blocca il respiro economico del Paese) le sue leggi vergogna.
Ai suoi tempi, che finiscono adesso, Berlusconi non ha avuto bisogno di fatti veri e di risultati realmente ottenuti. Gli bastava andare - o mandare - in televisione, ospite in case amiche di proprietà o d’affitto, e dire ciò che riteneva utile dire, inventando fatti e inventando cifre. Tanto nessuno, tra gli illustri interlocutori dei migliori giornali, e tra i direttori delle migliori testate, si sarebbe permesso di interrompere il monologo o di correggere anche una sola cifra falsa. Sapevano tutti di avere di fronte un primo ministro ricco, potente e vendicativo.
Sarà immensamente difficile governare. È già annunciata l’intenzione di scatenare guerriglia parlamentare. La Casa delle Libertà ne ha già dato l’annuncio. Sono gli stessi che chiamavano ‟ostruzionismo” la presentazione di emendamenti migliorativi alle loro terribili leggi.
Sarà immensamente difficile. Ma certo non gioverà a Berlusconi il confronto quotidiano e continuo con la persona normale Romano Prodi, senza cerone, senza tacchi, senza violenza offensiva, senza il seguito sottomesso che tocca solo a chi è più ricco del sultano del Brunei e ha fama di essere più generoso con chi lo compiace.
Il confronto fra la artefatta invenzione dello spettacolo e la vita vera di un cittadino competente che sa quello che fa, governa con cognizione di causa e si prepara, atto per atto, a rendere conto, non gioverà all’uomo dell’immagine. Invece dell’abbaglio televisivo che si protrae per infinite puntate, la ‟audience” (meglio definibile come i cittadini della Repubblica che hanno votato) avrà di fronte un normale governo, come in ogni altro normale Paese democratico.
Questo Paese, prima di Berlusconi, ha avuto una sua buona e solida reputazione nel mondo. Prodi lo vuole riportare in quel punto, al livello di prestigio che l’Italia aveva quando è entrata - tra l’incredulità di molti, ma con i conti in ordine - nell’Europa dell’Euro.
Noi sappiamo che Berlusconi e i suoi cortigiani faranno il possibile perché ciò non avvenga. Sono responsabili di un disastro e vogliono farci credere che quel disastro è dovuto a cause di forza maggiore. Ogni atto di governo, adesso, li inchioderà all’evidenza dei loro clamorosi errori. Potete scommettere che, alla faccia del loro sbandierato patriottismo, si batteranno perché, grazie alla guerriglia di opposizione, l’Italia diventi ancora peggiore. Non risparmieranno ogni possibile sabotaggio. La parola è dura ma va sottolineata perché è un preannuncio, un appuntamento da ricordare, fra poco. È ciò che si apprestano a fare come ‟contributo” per il Paese che hanno così gravemente manomesso.
Ma noi sappiamo che Prodi è un ostinato, uno che mantiene le promesse. Ci sarà un Italia. E non sarà quella offesa e umiliata e spinta dal vanesio e incompetente primo ministro che sta per andarsene, alla crescita zero.

Furio Colombo

Furio Colombo (19319, giornalista e autore di molti libri sulla vita americana, ha insegnato alla Columbia University, fino alla sua elezione in Parlamento nell’aprile del 1996. Oltre che negli Stati …