Paolo Di Stefano: Giro d’Italia. “Caffè e sicurezza, siamo noi gli angeli dei ciclisti”

11 Maggio 2006
‟Sono il nostro occhio davanti”. Il nostro occhio davanti sono le moto, spiega il vicedirettore di corsa, Giacomo Fini, viareggino di 72 anni, che nei ‘50 fu gregario del grande Gaul. Le moto gialle corrono avanti e tornano indietro, non si danno pace, per segnalare l’imprevisto in agguato: un folle contromano, una strettoia mal segnalata... ‟Può succedere di tutto”. In macchina, con Giacomo, c’è anche Rosella Besana, che ha preso le ferie dall’Ospedale dei tumori di Milano (dove è tecnica di laboratorio) per farsi questi 3526 chilometri di Giro. L’autista si chiama Gino e sembra un corsaro, con il suo orecchino e la testa pelata. Rosella: ‟Ho agganciato il ciclismo da giudice di gara, è una passione che viene da mio padre”. È il solo tecnico donna in corsa. Nessuna ha mai occupato il suo ruolo in Direzione. E da giudice internazionale conosce alla perfezione le regole. Gino è chiamato il cambusiere, prima di partire prepara pietanze e caffè per tutti e, se un motociclista si affianca, lui abbassa il finestrino e offre, a scelta: un panino, un ferrero roché, un pocket coffee, una cioccolata con mandorle, frutta, un caffè. Rosella oggi si accontenta di una mela e di una banana. I fuggitivi sembrano arrancare: ‟Li acchiapperanno sul falsopiano - spiega Giacomo - perché lì il gruppo tira di più”. Le bandiere italiane piantate nei campi, sul ciglio della strada accanto a quelle gialle (con galletto rosso) della Vallonia, non si contano. Una puzza di letame invade la macchina: ‟È acqua di colonia” ride Gino. Tappa tranquilla. ‟Mi sa che in coda però c’è turbolenza” dice Rosella, 45 anni, brianzola. ‟Vettura medica per Petacchi!” gracchia infatti la radio. Le case sono sempre uguali, due piani, mattoni rosso-bruno, tetti neri spioventi. Anche i prati sono sempre uguali e anche la pioggia. Ora Gino deve darci dentro sull’acceleratore per raggiungere i tre passaggi a livello segnati tra il km 49 e il km 62 e a Giacomo tocca comunicare al gruppo il via libera, calcolando al minuto il passaggio dei treni. Non è tipo da scomporsi. ‟Non c’è problema” comunica alla radio. L’altro giorno il gruppo è rimasto fermo più di un minuto in attesa del treno. La strada si srotola in saliscendi diritti. ‟Mi pare una tappa per gente come Bettini. Di corridori universali non ce n’è più, tipo, che so..., tipo Anquetil. Io ci ho corso insieme. Una facilità di pedalata, la perfezione”. Si viaggia a 30 all’ora, bisogna aspettare che compaiano alle nostre spalle i quattro in fuga. Una moto della Rai, in attesa come noi, accosta. ‟Caffè fatto con la moka?” chiede il corsaro dal finestrino. Si rallenta ancora, poi si accelera di colpo, 60, 70, 80, 90. La pioggia insiste. ‟Adesso vien giù bene”. Giacomo impugna la radio: ‟Com’è, Petacchi si ferma? Stamane l’ho visto con una bella grinta, ma purtroppo si pedala con le gambe, non con la testa...”. Lui lo sa. E anche Petacchi.

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …