Paolo Di Stefano: Giro d’Italia. La favola di Ghisalberti, l’ex bimbo fragile che scala le montagne

11 Maggio 2006
Non sarà Armstrong, certo. Né, per sua fortuna, ha dovuto affrontare il male con cui ha combattuto il ciclista americano. Eppure, anche Sergio Ghisalberti se l’è vista brutta e sembra un miracolo vederlo qui al Giro scalare le montagne e addirittura raccogliere, in squadra, l’eredità del leader Petacchi. Il miracolo è visibile a occhio nudo: basta abbassare lo sguardo alle caviglie e ai polpacci. Asciutti e magri come due grissini, senza muscoli. Perché Sergio, un ragazzone bergamasco di 25 anni, è nato con una malformazione genetica mica da ridere: piedi torti. I piedi girati all’interno di circa 45 gradi, con tutta la via crucis che ora sua madre Maria Santi può raccontare come un incubo lontano: ‟Pensi, fino a 3-4 mesi è rimasto ingessato. Gli ortopedici dicevano: se si mette a posto così, bene, se no ci vuole un intervento. Poi per due mesi ha portato un tutore in ferro fino al ginocchio, coperto da fasce elastiche. Ma alla fine hanno dovuto operare e allungargli i tendini”. Dopo l’operazione, a sei mesi, per anni visite regolari per valutare la crescita. Le cose andavano bene, ma mamma Maria continuò a guardare a quel bambino come a una creatura troppo fragile. Quando il primogenito, Mauro, si mise a pedalare con gli allievi, i dirigenti della Paladina videro il ragazzino e dissero: dài, Sergio, corri anche tu... Mamma Maria reagì: ‟Gli ho risposto: eh no, eh, cribbio, con quello che ha passato, non può mica...”. Invece, Sergio a 13 anni ci ha preso gusto e ha capito che i polpacci non servivano a niente, per volare in salita e arrivare terzo al Giro del Trentino. Quel che conta sono i quadricipiti, i muscoli delle cosce. ‟Adesso cammino normalmente, il problema è che ho le caviglie bloccate nella mobilità e che i polpacci non crescono, dunque soffro un po’negli scatti”. Sergio è timidissimo. Quando parla fa fatica a guardarti negli occhi. Ha due occhi verdi e i capelli pieni di gel, in piedi sulla testa. Non gli piace parlare della sua malattia. Solo pochi accenni: ‟L’unico vero fastidio è estetico, a scuola certi compagni mi prendevano in giro e mi dava un po’noia”. Ha studiato ragioneria. Ora i suoi compagni lo chiamano, lo cercano, lo seguono. ‟Per fortuna i miei genitori mi hanno capito. Mio padre ha visto che in bici andavo bene e mi ha lasciato fare”. Suo padre è operaio metalmeccanico a Dalmine e con quattro figli ventenni, lo stipendio di Sergio in casa deve essere una boccata d’aria. ‟Il mio modello?”. Sorride, il ragazzo: ‟Armstrong, ovvio... La classe, il modo di fare, il carattere. La mia è stata una malattia da niente in confronto alla sua”. Struttura fisica imponente: 1 metro e 84, 72 chili. Roba da sprinter più che da scalatore-passista. Il suo attuale direttore sportivo, Gigi Stanga, ci scherza su: ‟Il Sergio è una bestia. Quando l’ho visto quest’anno in Romandia stare a ruota di Valverde dopo 15 chilometri di salita, non ci credevo... È tutto da scoprire e forse lo scopriremo con le prime montagne”. Intanto riuscire a scoprire, in tanta timidezza, dove sta tutta la sua ostinazione (e tutto l’orgoglio), è quasi impossibile. Definirlo un introverso è un eufemismo. Ma da bambino, ricorda sua madre, era l’opposto: ‟E appena cadeva, non le dico, faceva tante di quelle scene, urlava per un graffio. Quando ha cominciato a correre in bici, ho detto a mio marito Giovanni: â â Sarà sempre col fazzoletto in mano, il Sergio’’. Invece, niente, mai, neanche una lacrima”

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …

La cattura

La cattura

di Salvo Palazzolo, Maurizio de Lucia