Cesare De Marchi: Un mare di bandiere tedesche
19 Giugno 2006
Alle finestre, sventolate a braccio per le strade, applicate con piccoli supporti di plastica alle automobili, dappertutto per le città tedesche c’è un mare di tricolori nero rosso e oro. Se fosse la bandiera dell’Ecuador o del Lussemburgo nessuno ci baderebbe più di tanto; ma trattandosi di quella di un Paese con un passato di nazionalismo sanguinoso e tenace, la preoccupazione si affaccia alla mente di molti. Anche qui in Germania la domanda è rimbalzata nei telegiornali, intervistatori hanno fermato ragazzi e ragazze per le strade e chiesto che cosa significano per loro il tricolore tedesco e la Germania.
La risposta è semplice: la Germania è in festa, e alla gente piace essere in festa. Nell’immaginario collettivo europeo, ancora fortemente segnato dai racconti della guerra (dico dai racconti, perché la guerra ormai sono più in pochi ad averla vissuta), la Germania era capace di un solo entusiasmo, e non di natura festosa Eppure i tempi sono cambiati. Trent’anni fa, nelle mie prime visite tedesche, respiravo altra aria, mi imbattevo ancora in nostalgici hitleriani e in negatori dell’olocausto: oggi questi sono perseguiti a termini di legge, perché è reato negare l’orrore di cui la nazione si è macchiata, e quelli sono man mano scomparsi dal numero dei viventi. La Germania è uno Stato democratico e tollerante, multiculturale e multietnico; e se non tutto è rose e fiori, se talvolta può ancora essere uno svantaggio nascervi da genitori turchi o italiani, esiste una parità giuridica che non è soltanto scritta ma anche sentita e condivisa dalla maggioranza dei cittadini.
La Germania è un Paese in festa, anche se è perfettamente a conoscenza di quello che si sta discutendo in parlamento e dei sacrifici economici che le verranno chiesti. Ragione di più per festeggiare, sembra pensare la gente con una mentalità che si sarebbe tentati di chiamare mediterranea. E mediterraneo è il sole caldo che è arrivato puntualmente il 9 giugno per l’apertura dei campionati di calcio. Mi trovavo a Lipsia quel giorno, città dell’ex DDR che si sta avviando a diventare una delle più belle della Germania; animata di tavolini e di gente a tutte le ore, inondata di tifosi d’ogni colore, e brulicante di cantieri che restaurano e riportano vie piazze edifici alla scomparsa bellezza. Qui si tocca con mano la volontà di unificazione nazionale e il contributo d’imposta addizionale (detto «di solidarietà») che i cittadini occidentali pagano da 17 anni per la ricostruzione della ex DDR. Qui si vede meno ricchezza che nei vecchi Länder, un po’ come da noi in Italia, ma un’animazione e un’apertura che squallidi gruppi di xenofobi violenti in qualche città (come Cootbus e Potsdam, dove le autorità hanno sconsigliato ai tifosi di colore di recarsi) possono offuscare ma non compromettere.
La Germania è un Paese unito, che dopo elezioni politiche finite quasi in uno stallo ha espresso una coalizione delle due forze contrapposte che vi si erano affrontate: anteponendo l’interesse nazionale alle divisioni politiche. Ma soprattutto la Germania si sta liberando dei terribili complessi di colpa che ha continuato a nutrire dopo la Seconda guerra mondiale. Abituati a sentirsi guardati con diffidenza e rancore, ora i tedeschi sembrano riuscire finalmente ad aprirsi, non chiedendo di dimenticare e non dimenticando essi per primi. Lo slogan di questi mondiali, «Die Welt zu Gast bei Freunden», il mondo ospite a casa di amici, esprime questo desiderio di apertura e coglie l’occasione di un grande evento sportivo per metterlo in atto. Festosamente, come non ci aspettavamo che i tedeschi sapessero fare.
La risposta è semplice: la Germania è in festa, e alla gente piace essere in festa. Nell’immaginario collettivo europeo, ancora fortemente segnato dai racconti della guerra (dico dai racconti, perché la guerra ormai sono più in pochi ad averla vissuta), la Germania era capace di un solo entusiasmo, e non di natura festosa Eppure i tempi sono cambiati. Trent’anni fa, nelle mie prime visite tedesche, respiravo altra aria, mi imbattevo ancora in nostalgici hitleriani e in negatori dell’olocausto: oggi questi sono perseguiti a termini di legge, perché è reato negare l’orrore di cui la nazione si è macchiata, e quelli sono man mano scomparsi dal numero dei viventi. La Germania è uno Stato democratico e tollerante, multiculturale e multietnico; e se non tutto è rose e fiori, se talvolta può ancora essere uno svantaggio nascervi da genitori turchi o italiani, esiste una parità giuridica che non è soltanto scritta ma anche sentita e condivisa dalla maggioranza dei cittadini.
La Germania è un Paese in festa, anche se è perfettamente a conoscenza di quello che si sta discutendo in parlamento e dei sacrifici economici che le verranno chiesti. Ragione di più per festeggiare, sembra pensare la gente con una mentalità che si sarebbe tentati di chiamare mediterranea. E mediterraneo è il sole caldo che è arrivato puntualmente il 9 giugno per l’apertura dei campionati di calcio. Mi trovavo a Lipsia quel giorno, città dell’ex DDR che si sta avviando a diventare una delle più belle della Germania; animata di tavolini e di gente a tutte le ore, inondata di tifosi d’ogni colore, e brulicante di cantieri che restaurano e riportano vie piazze edifici alla scomparsa bellezza. Qui si tocca con mano la volontà di unificazione nazionale e il contributo d’imposta addizionale (detto «di solidarietà») che i cittadini occidentali pagano da 17 anni per la ricostruzione della ex DDR. Qui si vede meno ricchezza che nei vecchi Länder, un po’ come da noi in Italia, ma un’animazione e un’apertura che squallidi gruppi di xenofobi violenti in qualche città (come Cootbus e Potsdam, dove le autorità hanno sconsigliato ai tifosi di colore di recarsi) possono offuscare ma non compromettere.
La Germania è un Paese unito, che dopo elezioni politiche finite quasi in uno stallo ha espresso una coalizione delle due forze contrapposte che vi si erano affrontate: anteponendo l’interesse nazionale alle divisioni politiche. Ma soprattutto la Germania si sta liberando dei terribili complessi di colpa che ha continuato a nutrire dopo la Seconda guerra mondiale. Abituati a sentirsi guardati con diffidenza e rancore, ora i tedeschi sembrano riuscire finalmente ad aprirsi, non chiedendo di dimenticare e non dimenticando essi per primi. Lo slogan di questi mondiali, «Die Welt zu Gast bei Freunden», il mondo ospite a casa di amici, esprime questo desiderio di apertura e coglie l’occasione di un grande evento sportivo per metterlo in atto. Festosamente, come non ci aspettavamo che i tedeschi sapessero fare.
Cesare De Marchi
Cesare De Marchi (Genova, 1949) ha vissuto a lungo a Milano e risiede attualmente in Germania. Ha pubblicato diversi racconti e i romanzi: Il bacio della maestra (Sellerio, 1992), La …