Marina Forti: Un farmer americano in Mali

20 Luglio 2006
È stato un incontro tra agricoltori: coltivatori di cotone, o grano, o anche allevatori di bestiame e produttori latte. Tutti agricoltori: ma i farmers arrivati dagli Stati uniti d'America sono rimasti assai colpiti quando hanno visto come vivono i loro colleghi agricoltori del semiarido Mali, in Africa occidentale. La visita è avvenuta la settimana scorsa, la delegazione americana era venuta da Texas, Illinois, Kansas, Virginia e Vermont. In Mali, nella capitale Bamako e in varie località rurali, hanno incontrato coltivatori di cotone, sindacati, organizzazioni di produttori e anche rappresentanti del governo maliano e statunitense.
La gente che lavora la terra avrà pure molto in comune, ma i farmer americani hanno detto, al ritorno, che la cosa davvero impressionante è stato vedere la povertà: ‟Non c'è paragone tra le condizioni di vita negli Stati uniti e in Africa occidentale”, commenta Ken Gallaway, coltivatore di cotone e mais del Texas. Così, la delegazione americana è tornata convinta: la politica di sussidi agricoli praticata dagli Stati uniti è responsabile della povertà dei contadini africani.
‟Non puoi tornare da un viaggio simile senza comprendere che la nostra politica agricola è vergognosa”, ha precisato Leo Tammi, allevatore di pecore della Virginia. ‟Le sovvenzioni stanno provocando i problemi dei contadini del Mali, lo abbiamo verificato sul campo”, ha aggiunto Jim French, rancher di Reno County, in Texas, e organizzatore di Oxfam America (l'organizzazione di aiuto allo sviluppo che ha organizzato la visita).
Il problema degli agricoltori del Mali, spiegano, è che il prezzo del cotone sui mercati internazionali è crollato. In Mali il cotone è la fonte di reddito di circa un terzo dei dieci milioni di abitanti del paese. Quando un intero paese dipende dall'export di una singola materia prima, è assai vulnerabile. Negli ultimi anni il prezzo del cotone sui mercati internazionali è crollato: ora i coltivatori maliani fanno fatica a sopravvivere del loro lavoro. Negli Stati uniti i coltivatori di cotone sono garantiti da generosi sussidi del governo: ma quei sussidi sono una causa (quella principale, sostiene Oxfam) del crollo dei prezzi internazionali.
Il meccanismo è banale. I produttori di cotone americani ricevono complessivamente circa 4 miliardi di dollari ogni anno in sussidi: sono stati 4,2 miliardi nel 2004-2005 (una somma analoga agli aiuti del governo Usa per l'Africa subsahariana, fa notare sempre Oxfam). I sussidi sono distribuiti in parti diseguali, i grandi produttori ottengono la fetta maggiore, e così sono incoraggiati a produrre molto più di quanto richiede la domanda interna. Il surplus va sul mercato internazionale, a un prezzo molto inferiore al costo di produzione sostenuto dal farmer americano (che però è compensato dalle sovvenzioni). Insomma, un caso di dumping. E quel cotone messo sottocosto sul mercato internazionale abbassa il prezzo anche per i produttori africani (o indiani).Durante uno degli incontri dela settimana scorsa François Traore, presidente dell'associazione dei coltivatori di cotone del Burkina Faso (confinante con il Mali), ha fatto notare che negli Usa i coltivatori di cotone sono 25.000, mentre 25 milioni di persone in tutta l'Africa dipendono da questa coltura. ‟Vogliamo che i contadini africani possano vivere del loro lavoro, come gli americani, i quali però vivono del loro lavoro a detrimento degli altri”.
La questione dei sussidi agricoli è uno dei capitoli più difficili di tutte le trattative internazionali (si pensi anche all'Unione europea...). Ed è il tabù su cui crolla tutta la finzione del ‟libero mercato”, elevata a principio assoluto con l'Organizzazione mondiale del commercio quando si tratta di imporre alle economie più deboli di eliminare prezzi sovvenzionati e protezioni per i loro produttori: solo che i paesi ricchi non sono affatto disposti a eliminare le proprie sovvenzioni e quote. Insomma: 4 anni fa il Wto si era impegnato a riformare i sistemi di sussidi agricoli, ma ben poco è cambiato. Cinque paesi del'Africa occidentale hanno cercato di strappare un accordo seperato per il cotone, finora invano. Il sindacalista maliano Soloba Mady Keita ha detto agli ospiti americani che in fondo i contadini africani prendono sul serio il libero mercato: ‟Se non ci fossero più sussidi, avremmo il nostro vantaggio perché i nostri costi di produzione sono più bassi e non avremmo difficoltà a vendere il cotone”.

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …