Irene Bignardi: Tutti i record della Cinecittà fantasma

14 Settembre 2006
Sono passati centodieci anni dal giorno in cui i fratelli Lumière aprirono l’India al mondo del cinema presentando il 7 luglio 1896 sei loro film al Watson Hotel di Bombay. Ora Bombay si chiama Mumbai; il suo cinema, memore dell’antico appellativo coloniale, si chiama Bollywood, con un’etichetta ingrata a molti ma popolare nel mondo; e il cinema è una delle grande consolazioni, una delle grandi forme d’arte (in certe regioni) e una poderosa industria. Poco importa che Bollywood, come tale, non esista. In altre parole, che non esista qualcosa di simile a Cinecittà. Esiste, accanto al cosiddetto "cinema parallelo" - quello più colto, audace, sperimentale, "arty" del Bengala, del Kerala, del Tamil Nadu - l’idea-tipo di un cinema indiano popolare e unico, con regole e strutture precise. Un incrocio tra melò, musical, film d’avventure, scandito con precisione da intervalli musicali (spesso molto lunghi e almeno sei), sfarzoso e romantico, recitato quasi sempre in hindi, contrappuntato a volte da intervalli poetici in urdu, imperniato quasi obbligatoriamente su un triangolo amoroso, e interpretato da grandi star: da Om Puri a Shabana Asmi, da Nandita Das a Aamir Khan. Mimando un celebre slogan si potrebbe dire "no star, no film". Bollywood sa come si coltivano le leggende e le sa creare. Sa anche come tenerne vivo il mito. Quando tre anni fa si elesse via Internet la star più popolare del mondo e della storia del cinema, a sorpresa (ma non tanto) fu eletto Amitabh Bachchan, un bel signore dalla barba bianca e dai capelli neri che è anche uomo politico (moderatamente di sinistra). Un miliardo di indiani non esiste per niente, così come non esistono per niente i mille e mille Internet Café disseminati nel subcontinente. Il povero Olivier deve essersi agitato nella tomba. è anche vero che in questi ultimi tempi il cinema americano, quello che ha conquistato tutto il mondo e che finora non è riuscito a sfondare in India, sta aprendosi un pertugio nella programmazione indiana. Ma Bollywood continua a resistere nelle cifre. Quest’anno in India si sono prodotti oltre mille film (per la precisione 1041, in trentaquattro lingue e dialetti): un record mondiale, il doppio di Hollywood. Bollywood (nel senso della galassia dell’industria cinematografica indiana) dà lavoro a tre milioni di persone, conta su più di settanta milioni di fedelissimi spettatori, occupa undicimila sale sparse per il subcontinente, vende 3,8 miliardi di biglietti e incassa circa cinque miliardi di euro all’anno (anche se spesso, ci dicono le cronache, i finanziamenti privati non sono proprio limpidi). E intanto Hollywood, quest’anno, è riuscita a piazzare in India "solo" 182 film e a conquistare un misero cinque per cento del mercato. Neanche King Kong ce l’ha fatta a inserirsi tra i venti blockbusters made in India in testa alle preferenze del pubblico. Mentre il cinema indiano, nelle forme globalizzate e occidentalizzate dei film di Mira Nair (Monsoon Wedding), di Deepa Metha (Fire), di Gurinder Chadra (Sognando Beckham) seduce l’Occidente, quello autentico, originale, autoctono di film come Lagaan, come Devdas, come il recente The Rising, un grande "epic", firmato da Ketan Mehta sulla rivolta dei soldati indiani del 1857, come la produzione anche più corriva e facile di Bollywood conquista le platee indiane di tutto il mondo, dal Canada al Regno Unito, all’Oriente arabo e pakistano, dove arriva spesso in forma di Dvd più o meno piratato: l’unico modo per sottrarre i casti ma scollati melò indiani alla censura islamica. E se si parla di cinema indiano più di quanto effettivamente non lo si veda e non lo si conosca, almeno da noi, basterebbero le sole cifre della produzione del subcontinente dalle origini ad oggi (67 mila film, più i corti, più i documentari) a spiegare le dimensioni e il radicamento e la resistenza alle influenze esterne della cinematografia più "locale" del mondo. Adesso bisognerebbe cominciare a frequentarla davvero.

Irene Bignardi

Irene Bignardi (1943) ha lavorato per il servizio cultura de “la Repubblica” fin dalla sua fondazione, e per lo stesso quotidiano è stata critica cinematografica; ha diretto il MystFest, ha …