Datemi idee e cambierò il mondo. Muhammad Yunus e Mike Davis
17 Ottobre 2006
Sono stati recentemente pubblicati da Feltrinelli due libri molto interessanti. Il primo, scritto da uno studioso della città contemporanea, Mike Davis, è una feroce descrizione di Los Angeles, una critica radicale del mito di quel la città Los Angeles, e con essa tutta la California e l’ovest degli Stati Uniti, rappresentano da tempo nel nostro immaginario l’avanguardia del pianeta, il luogo in cui, dal cinema a Silicon Valley, si costruisce e si sperimenta con anticipo quello che il resto del mondo conoscerà e vivrà solo più tardi. Secondo Davis la capitale della California non ha smesso di sperimentare in anticipo quello che si diffonderà poi su tutto il pianeta, ma questo suo essere all’avanguardia non indica più la strada verso una forma di vita più elevata. Los Angeles continua ad anticipare il futuro perché conosce prima e con grande durezza l’agonia della città, le metastasi di una malattia ormai irreversibile. Mentre all’origine le città erano il luogo della sicurezza, in cui gli uomini affluivano perché potevano essere contemporaneamente più liberi e più protetti, oggi Los Angeles circola nei labirinti della paura (il libro si chiama appunto Geografie della paura). Dalle tempeste improvvise all’attesa angosciosa del terremoto, dalla violenza endemica all’inquinamento dell’ambiente, dal degrado degli spazi pubblici alla segregazione dei quartieri, Ios Angeles vive una metamorfosi maligna. L’immagine offerta da Biade Runner appare a Davis inadeguata, lontana dal percepire il peso effettivo della violenza, la militarizzazione ordinaria della vita civile, la crisi di una Città che da tempo non è più di tutti, ma solo di chi è capace di prendersela.
Il secondo libro (Il banchiere dei poveri) parla invece di uno straordinario esperimento sociale, nato in un paese che agli occhi dell’opinione pubblica internazionale appare senza speranza, il Bangladesh. L’autore, Muhammad Yunus, racconta la storia della Banca Grameen, una banca che si regge su parametri del tutto eversivi rispetto a quelli del mondo finanziario normale. La banca (che oggi conta 12 milioni di clienti, dodicimila dipendenti e 1079 filiali) presta soldi, senza chiedere interessi, a cittadini poveri ed in particolare alle donne povere. Ebbene, questo comportamento, che potrebbe apparire folle alla logica del nostro sistema bancario, ha ottenuto un grande successo: la banca infatti può vantare un ritorno dei prestiti pari al 98 per cento. Il motore essenziale di questo successo è stato nell’aver scommesso sull’orgoglio e la dignità dei più poveri, nell’aver capito che bisognava comportarsi nel modo opposto a quello tradizionale, secondo il quale i soldi vengono prestati solo a coloro che già ce l’hanno. Quel tasso di recupero, sottolinea Yunus, è molto importante perché esso non rappresenta un guadagno della banca, ma la solidità della fiducia, è il segno di un legame sociale, della rottura della passività dei più poveri. I libri in questione hanno il merito di ribaltare due immagini stereotipate: da un lato l’idea che lo sviluppo tecnologico coincida con il progresso sociale, dall’altro la convinzione che dai paesi poveri non possa venire nessun insegnamento e che il loro destino sia una rincorsa infinita (e perdente) dei modelli di vita dei paesi più ricchi. Davis e Yunus sostengono la tesi opposta: da un lato la città degli angeli ha imboccato un viale della paura molto più lungo di quello del tramonto immortalato dal film di Billy Wilder, dall’altro il successo dell’esperimento della Grameen mostra che un paese povero può diventare leader dell’innovazione e trasformare il proprio handicap in un vantaggio. Non si tratta di sostituire un nuovo manicheismo a quello vecchio, invertendo le caselle del bianco e del nero. Si tratta solo di guardare in modo laico la realtà, di imparare a capire che non sempre la soluzione dei problemi viene dall’imitazione dei paesi più ricchi: più avanti di noi e chi ha una buona idea per far vivere meglio gli uomini, e le idee più fertili non vengono tutte dai punti alti dello sviluppo. Bisognerebbe sempre ricordarsi che, quando Roma era il centro del mondo, l’idea più fertile è nata dalla follia di un falegname palestinese, che iniziò a sostenere di essere figlio di Dio. Noi oggi contiamo gli anni dalla data di nascita di quel falegname.
Il secondo libro (Il banchiere dei poveri) parla invece di uno straordinario esperimento sociale, nato in un paese che agli occhi dell’opinione pubblica internazionale appare senza speranza, il Bangladesh. L’autore, Muhammad Yunus, racconta la storia della Banca Grameen, una banca che si regge su parametri del tutto eversivi rispetto a quelli del mondo finanziario normale. La banca (che oggi conta 12 milioni di clienti, dodicimila dipendenti e 1079 filiali) presta soldi, senza chiedere interessi, a cittadini poveri ed in particolare alle donne povere. Ebbene, questo comportamento, che potrebbe apparire folle alla logica del nostro sistema bancario, ha ottenuto un grande successo: la banca infatti può vantare un ritorno dei prestiti pari al 98 per cento. Il motore essenziale di questo successo è stato nell’aver scommesso sull’orgoglio e la dignità dei più poveri, nell’aver capito che bisognava comportarsi nel modo opposto a quello tradizionale, secondo il quale i soldi vengono prestati solo a coloro che già ce l’hanno. Quel tasso di recupero, sottolinea Yunus, è molto importante perché esso non rappresenta un guadagno della banca, ma la solidità della fiducia, è il segno di un legame sociale, della rottura della passività dei più poveri. I libri in questione hanno il merito di ribaltare due immagini stereotipate: da un lato l’idea che lo sviluppo tecnologico coincida con il progresso sociale, dall’altro la convinzione che dai paesi poveri non possa venire nessun insegnamento e che il loro destino sia una rincorsa infinita (e perdente) dei modelli di vita dei paesi più ricchi. Davis e Yunus sostengono la tesi opposta: da un lato la città degli angeli ha imboccato un viale della paura molto più lungo di quello del tramonto immortalato dal film di Billy Wilder, dall’altro il successo dell’esperimento della Grameen mostra che un paese povero può diventare leader dell’innovazione e trasformare il proprio handicap in un vantaggio. Non si tratta di sostituire un nuovo manicheismo a quello vecchio, invertendo le caselle del bianco e del nero. Si tratta solo di guardare in modo laico la realtà, di imparare a capire che non sempre la soluzione dei problemi viene dall’imitazione dei paesi più ricchi: più avanti di noi e chi ha una buona idea per far vivere meglio gli uomini, e le idee più fertili non vengono tutte dai punti alti dello sviluppo. Bisognerebbe sempre ricordarsi che, quando Roma era il centro del mondo, l’idea più fertile è nata dalla follia di un falegname palestinese, che iniziò a sostenere di essere figlio di Dio. Noi oggi contiamo gli anni dalla data di nascita di quel falegname.
Muhammad Yunus
Muhammad Yunus, nato e cresciuto a Chittagong, principale porto mercantile del Bengala, laureato in Economia, ha insegnato all’Università di Boulder, Colorado, e alla Vanderbilt University di Nashville, Tennessee. Ha poi …