La polemica Bocca-Pansa. Ci vuole una legge come per gli armeni.
18 Ottobre 2006
Erano skinheads ‟di sinistra” o autorevoli storici antirevisonisti travestiti all’uopo, quelli che hanno contestato Giampaolo Pansa a Reggio Emilia al grido di ‟Viva Giorgio Bocca”? Erano skinheads di sinistra, pare di capire. Non c’è mistero italiano, almeno su questo punto. Ma anche lettori del grande giornalista-partigiano, che sta per pubblicare, il nuovo libro dedicato alla Resistenza nel Cuneese, al vino, agli amici e al cibo, Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco. O forse, come ci dice dalla sua casa di Milano, ‟qualcuno che conosceva qualcun altro che magari mi conosce”. ‟Del resto aggiunge Bocca io ho scritto molti libri sulla guerra partigiana. In ogni caso non sono certo il tipo da far da bandiera”. Si può facilmente immaginare una scrollata di spalle, magari uno sbuffo. Bocca non vuole entrare in polemica, soprattutto con Pansa che è diventato, negli anni, una specie di eterno antagonista sulla scena dei media.
‟Non sono l’anti-Pansa, non mi interessa. Anzi, dirò di più: l’unica discussione seria sarebbe chiedersi come mai questo Paese abbia un tale rigurgito di filo-fascismo. Per il resto, non c’è niente da discutere. Non c’è stata una Vandea e non c’è stata nessuna Grande Bugia”. Bocca è semmai vagamente inquieto per un’altra cosa: che il suo nuovo libro venga interpretato come una risposta all’avversario. ‟Invece io voglio solo raccontare la guerra partigiana, che è stata l’ultima guerra risorgimentale e appartiene a un periodo ormai finito. La Patria non interessa più a nessuno, basta porre attenzione ai politici che siedono in Parlamento”. E’ anche amareggiato. Deluso. Arrabbiato, sembra. ‟Ma che razza di democrazia è questa, dove ci sono dei democratici che prendono le parti di Pansa?”.
Non pensa che comunque abbia il diritto che i fatti da lui proposti, e le sue interpretazioni, vengano discusse con serenità? La risposta è in crescendo: ‟Sì, come quelli che negano l’Olocausto, o la strage degli armeni. Io sono d’accordo coi francesi, robe simili vanno proibite per legge. Chi contesta la Resistenza in Italia nelle sue linee generali è uno che nega la verità, la realtà. Nega l’unica guerra dove i combattenti erano dei volontari. Nega persino l’apporto della popolazione: ma come si fa. E anche il sangue dei vinti, se vogliamo essere precisi...”. Non è stato sparso? ‟Va ridimensionato. Ci sono stati molti delitti, molte uccisioni per fini personali. I delinquenti sfruttavano la situazione per ammazzare e rapinare, ma una cosa erano i delinquenti, un’altra i partigiani. Vuole un esempio?” Pronti. ‟Nel mio nuovo libro racconto come scendemmo a Busca, un piccole centro vicino a Cuneo, per attaccare la compagnia anticarri della divisione Littorio. Bene, non appena si alzarono le fiamme nella loro caserma, vidi ombre che si aggiravano: era gente del posto che grazie alla confusione cercava di razziare qualcosa, di far bottino”.
Che cos’altro racconta in Le mie montagne? ‟I personaggi, per esempio Duccio Galimberti, per chiedermi che tipo fosse. Non era facilmente comprensibile. O Livio Bianco e i langaroli e i montanari”. Magari qualcuno lo tira anche giù dal piedestallo. Fa del revisionismo? ‟No, faccio cronaca. Ma che tiene conto della situazione”. D’accordo. Però se le capitasse in casa uno di quegli skinheads di Reggio Emilia, di cui è diventato l’eroe, come reagirebbe? ‟Mi metto a ridere, cosa vuole che faccia. Non è che non sia abituato a situazioni un po’ così. Nel 68 all’Università di Bologna entrai in un’assemblea dove mi cantarono: ‟Lotta Continua non si tocca, ammazziamo Giorgio Bocca”‟.
‟Non sono l’anti-Pansa, non mi interessa. Anzi, dirò di più: l’unica discussione seria sarebbe chiedersi come mai questo Paese abbia un tale rigurgito di filo-fascismo. Per il resto, non c’è niente da discutere. Non c’è stata una Vandea e non c’è stata nessuna Grande Bugia”. Bocca è semmai vagamente inquieto per un’altra cosa: che il suo nuovo libro venga interpretato come una risposta all’avversario. ‟Invece io voglio solo raccontare la guerra partigiana, che è stata l’ultima guerra risorgimentale e appartiene a un periodo ormai finito. La Patria non interessa più a nessuno, basta porre attenzione ai politici che siedono in Parlamento”. E’ anche amareggiato. Deluso. Arrabbiato, sembra. ‟Ma che razza di democrazia è questa, dove ci sono dei democratici che prendono le parti di Pansa?”.
Non pensa che comunque abbia il diritto che i fatti da lui proposti, e le sue interpretazioni, vengano discusse con serenità? La risposta è in crescendo: ‟Sì, come quelli che negano l’Olocausto, o la strage degli armeni. Io sono d’accordo coi francesi, robe simili vanno proibite per legge. Chi contesta la Resistenza in Italia nelle sue linee generali è uno che nega la verità, la realtà. Nega l’unica guerra dove i combattenti erano dei volontari. Nega persino l’apporto della popolazione: ma come si fa. E anche il sangue dei vinti, se vogliamo essere precisi...”. Non è stato sparso? ‟Va ridimensionato. Ci sono stati molti delitti, molte uccisioni per fini personali. I delinquenti sfruttavano la situazione per ammazzare e rapinare, ma una cosa erano i delinquenti, un’altra i partigiani. Vuole un esempio?” Pronti. ‟Nel mio nuovo libro racconto come scendemmo a Busca, un piccole centro vicino a Cuneo, per attaccare la compagnia anticarri della divisione Littorio. Bene, non appena si alzarono le fiamme nella loro caserma, vidi ombre che si aggiravano: era gente del posto che grazie alla confusione cercava di razziare qualcosa, di far bottino”.
Che cos’altro racconta in Le mie montagne? ‟I personaggi, per esempio Duccio Galimberti, per chiedermi che tipo fosse. Non era facilmente comprensibile. O Livio Bianco e i langaroli e i montanari”. Magari qualcuno lo tira anche giù dal piedestallo. Fa del revisionismo? ‟No, faccio cronaca. Ma che tiene conto della situazione”. D’accordo. Però se le capitasse in casa uno di quegli skinheads di Reggio Emilia, di cui è diventato l’eroe, come reagirebbe? ‟Mi metto a ridere, cosa vuole che faccia. Non è che non sia abituato a situazioni un po’ così. Nel 68 all’Università di Bologna entrai in un’assemblea dove mi cantarono: ‟Lotta Continua non si tocca, ammazziamo Giorgio Bocca”‟.
Le mie montagne di Giorgio Bocca
Nel giugno del 1940 l’esercito italiano attacca la Francia sul confine alpino: i francesi sono già prostrati dalla disfatta appena subita a opera dei tedeschi, ma i fanti italiani avanzano con enorme fatica e l’equipaggiamento inadatto miete più vittime, per assideramento, delle pallottole nemiche.…