Gian Antonio Stella: Il Vesuvio si risveglierà. E alle case sotto il cratere ci pensa San Gennaro

12 Gennaio 2007
‟Quanno sì ‘a ‘ncunia, statte; quanno sì martiello, vatte”, dice un antico adagio napoletano. Ognuno ha il suo destino: se sei incudine, statti, se sei martello, batti. Fatto sta che quest’idea dell’ineluttabilità del destino riesce spesso a disintegrare ogni possibilità di governare l’area partenopea. L’ultima dimostrazione la dà oggi il ‟Corriere del Mezzogiorno”. Ricordate il progetto ‟Vesuvia”, che si era posto l’ambizioso obiettivo di convincere la gente ad andarsene dalla pericolosissima ‟zona rossa” sotto il Vesuvio regalando a ogni famiglia 25 mila euro, poi saliti a 30 mila come contributo all’acquisto di una casa da un’altra parte? Bene: il nostro giornale ‟fratello” ha scoperto, per fare un solo esempio, che a San Giorgio a Cremano le famiglie che hanno sfruttato il bonus regionale sono state 106: 32 approfittando del primo bando di ‟Vesuvia” e 74 del secondo. Nel solo 2005, però, i napoletani che hanno lasciato la metropoli per trasferirsi nel paese alle pendici del vulcano sono stati 378. Un disastro. Che rivela da solo un problema più generale: su 11.807 cittadini che hanno deciso di lasciare il comune partenopeo per traslocare nei centri dell’hinterland, quasi 1.500 hanno scelto uno dei 18 comuni a rischio: Portici, Cercola, Somma Vesuviana, Pollena Trocchia, Ercolano, San’Anastasia, Torre del Greco, San Sebastiano al Vesuvio, Pompei, Massa di Somma, Ottaviano, Boscoreale, Terzigno, Trecase, Boscotrecase, San Gennaro Vesuviano e, appunto, San Giorgio a Cremano. Eppure, anche a non credere alle previsioni apocalittiche di Alfonsa Milia, una ricercatrice che sul Journal of Geological Society di Londra ha previsto in tempi più o meno brevi un gigantesco maremoto, gli esperti sono tutti d’accordo. Per dirla con le parole del vulcanologo Franco Barberi: ‟Non esiste al mondo una località a più alto rischio vulcanico considerando l’abnorme concentrazione edilizia spintasi fino a poche centinaia di metri dal cratere”. Giovanni Macedonio, direttore dell’unità funzionale Geodesia dell’Osservatorio Vesuviano, l’ha spiegato più volte: dopo le eruzioni del 1906 e quella del 1944 che sconvolse San Sebastiano (‟La lava si muoveva alla velocità di pochi metri all’ora, e aveva coperto metà della città con uno spessore di circa 10 metri. La cupola di una chiesa, emergendo intatta dall’edificio sommerso, veniva verso di noi sobbalzando sul suo letto di cenere”, scrisse Norman Lewis nel libro Naples ‘44) il vulcano è tranquillissimo. Ma solo perché ha sempre alternato periodi ‟a condotto aperto” (col magma che fuoriesce regolarmente dalla bocca) e lunghi periodi, come questo, ‟a condotto ostruito”, in cui sembra (sembra) morto. In attesa della successiva grande eruzione ‟pliniana”, simile a quella disastrosa che distrusse Pompei nel 71 d.C. Il ‟tappo” è a otto chilometri di profondità. Il che, secondo Macedonio, ‟presenta vantaggi e svantaggi allo stesso tempo” perché ‟il magma impiegherebbe del tempo a salire in superficie, consentendo un margine di preallarme piuttosto lungo” ma poi l’eruzione sarebbe esplosiva: lo strato di lava solidificata ‟salterebbe come un tappo di champagne”. Lo sanno tutti, facimme ‘e corna, che un giorno o l’altro succederà. Eppure, per anni e anni, hanno continuato a costruire. Legalmente, per l’insipienza dei 18 comuni a rischio. O abusivamente, se è vero che Legambiente qualche anno fa censì nella ‟zona rossa”, dove vivono circa 700 mila persone, 45 mila costruzioni abusive. Di cui 5.000 dentro lo stesso Parco del Vesuvio. Nel 1906, a fermare la lava a un passo da Trecase, dice la leggenda, fu la statua di San Gennaro. Che te ne fai della protezione civile, dei piani di evacuazione, dei progetti ‟Vesuvia” o della buona amministrazione, se tieni ‟o santo guappone”?

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …