"Nobel, al confronto, era ben poca cosa”. Intervista a Nadine Gordimer

15 Luglio 2014

di Francesco Mannoni, tratta da “l’Unione sarda”, 21 gennaio 2007

“Ho cominciato a scrivere da bambina. Avevo quindici anni quando fu pubblicato il mio primo racconto. Fu per me un’emozione che non si è più ripetuta. Quella provata per l’assegnazione del Nobel, al confronto, era ben poca cosa”. Ieri, a Torino, Nadine Gordimer di premio ne ha messo nel cassetto un altro: il Grinzane Cavour per la Lettura-Fondazione Crt, per la sua capacità di trasmettere al pubblico, soprattutto dei giovani, il piacere della lettura.
“Scrivendo ho preso coscienza dell’ambiente che mi circondava. Sono nata e cresciuta in Sudafrica in una città in cui il razzismo era praticato con molta arroganza. Vedevo gli operai neri delle miniere che vivevano nelle baracche e facevano gli acquisti in negozi gestiti dai bianchi affinché non avessero motivi per allontanarsi e andare in città. Vedevo come gli operai erano maltrattati e di fronte alle tante sopraffazioni a cui assistevo, mi resi conto di dove vivevo e come vivevo, anche per il fatto che la scuola che frequentavo era solo per bianchi, le lezioni, il cinema, la biblioteca e tante altre istituzioni, solo per bianchi”.
Considerata la massima esponente della letteratura sudafricana anglofona, premio Nobel nel 1991, Nadine Gordimer sprigiona un forte carisma. Nata a Spring nel Transvaal nel 1923 da genitori ebrei (il padre era razzista), questa donna raffinata, minuta e fragile ma dallo sguardo magnetico, protagonista del recente Festival della letteratura di Mantova, ha dedicato la sua vita alla lotta contro l’apartheid in difesa della gente di colore. I suoi romanzi, spesso vietati in patria, tutti politicamente impegnati, sono possente struttura d’una profonda coscienza civile realizzata con costante abnegazione e spirito di sacrificio. Vivere nella speranza e nella storia una raccolta di saggi sulla scrittura, sulla letteratura contemporanea, sul ruolo dello scrittore e sul percorso della storia sudafricana degli ultimi quarant’anni. Una sorta di testamento.
“Dalle favole e dai racconti - dice - sono passata a scrivere romanzi in cui era presente l’ambiente sociale che mi stava intorno e che io vivevo da bianca. Il razzismo, che ‘ stato sempre presente in Sudafrica, e che l’apartheid aveva istituzionalizzato, andava combattuto. Vissi e scrissi in funzione di questa battaglia”.

Come ha vissuto la fine dell’apartheid?
È stata per me una grande gioia. Nella metà degli anni ottanta si pensava che non si sarebbe arrivati a questo in modo pacifico; tutti temevano una guerra civile. Invece le parti sono riuscite a trovare un accordo e il padre di questo grande evento è Mandela.

Come vive il Sudafrica il dopo Mandela?
Nel mondo pensavano che quando Mandela si fosse ritirato, sarebbe sopravvenuto il caos. Invece così non è stato. Mandela non è solo un grande uomo: è anche un uomo saggio. Per due anni, prima di passare le consegne, ha istruito il suo successore. Il suo successore ha l’età giusta, ha vissuto in molti posti, e la sua visione politica rispetto a Mandela è leggermente più a sinistra. Ma con Mandela divide le idee democratiche.

Nei cinque anni trascorsi dalla fine dell’apartheid, come è cambiata la vita in Sudafrica?
Cinque anni sono pochi per correggere tutti i soprusi commessi dal governo dall’apartheid, e prima di questo da tutta la storia del colonialismo. Molti problemi però sono già stati affrontati e risolti, a cominciare dall’educazione dei giovani. Il governo dell’apartheid spendeva dieci volte tanto per l’educazione di un bambino bianco rispetto a quello che spendeva per un nero. Correggere questo sproposito ò stato uno dei primi doveri del governo Mandela. Adesso il sostegno governativo è uguale per tutti i bambini, non importa di che colore siano. Ci vorrà però forse più di una generazione per livellare lo standard di vita dei sudafricani. Occorrono abitazioni, impianti sportivi, laboratori scientifici, impianti elettrici e acquedotti per armonizzare le strutture dei neri con quelle dei bianchi.

Ma si verificano ancora episodi di razzismo?
Sì, ma se guardo al nostro passato, mi sorprende che non ce ne siano di più. Un po’ di problemi esistono ancora fra adolescenti e nelle università. Molti giovani negri provengono da un retroscena molto politicizzato e questo li rende un po’ aggressivi nei confronti dei ragazzi bianchi che hanno vissuto sempre protetti. Ma nonostante queste tensioni, sono fiduciosa che bianchi e neri potranno convivere serenamente.

Potrebbe darci una sua definizione del razzismo?
Il razzismo è una faccenda complessa. Non c’è bisogno di essere neri per respingere e combattere l’oppressione: è diretta responsabilità di ogni essere umano. Non c’è bisogno di essere ebrei per essere scioccati dall’Olocausto: è una responsabilità umana. Il razzismo è la negazione della responsabilità.

Secondo lei c’è un rapporto diretto fra razzismo e economia?
Certamente. Ovunque ci sia una minoranza nera povera e una maggioranza bianca ricca, ci sarà sempre il collegamento tra razzismo e economia. Questo perché i bianchi hanno paura di perdere i loro privilegi, e d’altra parte, nei neri, ci sarà sempre il risentimento verso i bianchi perché, nonostante non esistano delle leggi specificatamente discriminanti, resta il fatto che chi detiene la ricchezza detiene il potere. Il segretario generale delle nazioni Unite, mi ha detto due anni fa una cosa molto importante: non c’è nessun tipo di pace, razziale o meno, senza progresso; non c’è progresso senza pace. Se guardiamo al progresso come avanzamento economico per i popoli, chiaro che questo non c’è se gli standard di vita dei poveri non vengono elevati.

In che modo ha sviluppato le sue battaglie? Si considera ancora in prima linea?
Ho sempre combattuto affrontando lo scrivere come un viaggio di scoperta sulle relazioni fra gli esseri umani. Quando abbiamo relazioni personali, siamo parte di un contesto sociale. Quando ero coinvolta personalmente nel movimento di liberazione, anche i miei personaggi erano impegnati in questo senso. Se uno scrittore rispetta la verità, c’è sempre un dovere verso la verità, in qualunque società viva. Ora la società in cui vivo è cambiata, la gente ha nuove sfide da affrontare, e io mi sento altrettanto coinvolta in questo. La vita non si è fermata quando è finita l’apartheid: è appena cominciata.

Nel romanzo Un’arma in casa parla d’amore e di violenza da una prospettiva inedita.
Quando ho cominciato a scrivere questo romanzo mi chiedevo cosa vuol dire amore: intendo l’amore per i figli, gli amici. E quali sono le responsabilità di una madre.
Un figlio unico amato dai genitori, compie un atto mostruoso: uccide. Puoi continuare ad amarlo? Mi interessava occuparmi dei limiti del rapporto tra genitori e figli di fronte a un omicidio. Il romanzo esamina come il ragazzo giunge al delitto e come reagiscono i genitori. Ma soprattutto pone degli interrogativi. In che mondo viviamo se una pistola fa parte del mobilio di molte case? Ci sono troppe armi nel mondo e ogni giorno si fa un uso criminale delle stesse a livello domestico.
Cosa è successo al mondo che ancora oggi sa risolvere i suoi problemi solo con la violenza?

Nadine Gordimer

Nadine Gordimer (1923-2014), nata nel Transvaal, in Sudafrica, premio Nobel per la letteratura nel 1991, ha pubblicato con Feltrinelli: Un mondo di stranieri (1961), Occasione d’amore (1984), Un ospite d’onore …