Giorgio Bocca: Non c'è differenza tra Afghanistan e Iraq

07 Febbraio 2007
In politica nascono dei tabù privi di fondamento ma che nessuno osa discutere, accettati con reverenza anche dai loro contestatori.
Per esempio che l'Afghanistan è una cosa diversa dall'Iraq, da lì non ci si può ritirare. Il nostro ministro degli Esteri D'Alema lo ripete come una verità rivelata, come un sacramento, con ragioni prive di peso e di coerenza, ma discese dal cielo, filiate dalla ragion pura.
Lo pseudo ragionamento su cui si basa la 'diversità' dell'Afghanistan è che l'esportazione della democrazia inattuabile in Iraq è invece possibile in Afghanistan ed è in corso d'opera. Basta tenere duro, basta correggere gli errori.
Nella realtà l'operazione è fallita nell'Afghanistan come nell'Iraq, le popolazioni di religione e di costume islamico non amano la democrazia, come non amano la cosiddetta civiltà occidentale: non le desiderano, le hanno ripetutamente combattute e rifiutate, sia che si presentassero sotto le bandiere dell'impero inglese che nelle bianche vesti dei missionari protestanti.
I sostenitori occidentali della democrazia esportata ricorrono, per sostenerla, alla più sciocca delle menzogne, che cioè la resistenza degli indigeni sia opera di non meglio identificati Mujeddin, uomini feroci e selvaggi discendenti del 'vecchio della montagna' che arrivano dal Wuziristan o da altre remote e inaccessibili regioni montane per uccidere i buoni cristiani e respingere la civiltà.
Ora dato il numero e la forza della resistenza afgana è evidente che si tratta di una pietosa menzogna consolatrice. È evidente che la rivolta dei talebani è una rivolta di locali, di afgani, che non tollerano invasori stranieri e che il governo del signor Karzai è un governo sostenuto dagli occupanti stranieri e da una minoranza non dissimile da quella che sosteneva il regime sovietico o russo che, a suo tempo, ebbe il buon senso di tornarsene a casa. La disputa fra i partiti della sinistra se si debba o meno restare in Afghanistan appartiene poi alle miserabili dispute di partito. Rifondazione comunista di Bertinotti è disposta ad accettare la permanenza in Afghanistan non perché si sia convertita alla esportazione della democrazia, ma perché spera di ottenere dal governo Prodi delle concessioni in politica interna che chiama 'operazione equità', che nessuno sa bene in cosa consista.
Dice Scalfari che se Prodi dovesse abbandonare la partita, la nostra sinistra cesserebbe di esistere ma così come è sembra già in pessime condizioni.
La realtà amara è che siamo tornati alle guerre coloniali e le guerre coloniali sono sporchissime guerre. Mentre il nostro ministro degli Esteri disserta sulle ragioni politiche della nostra partecipazione che si richiamano poi alla solita politica delle armi, resta il fatto concreto che queste armi in Afghanistan non funzionano e perciò l'aviazione cristiana rade al suolo i villaggi afgani perché, dice, sono rifugio dei talebani o mujeddin, come chiamiamo oggi gli infedeli.
Le guerre coloniali o si vincono con strage dei più deboli o vengono sostituite dalle cooptazioni economiche, con i nemici che diventano soci in affari, come in Algeria o nel Vietnam. Tertium non datur e almanaccarci sopra è solo una perdita di tempo o un ravanar nel torbido.
Purtroppo è anche in discussione il gigantesco giro di soldi che coinvolge le strutture militari e le industrie. Prodi ha detto, da prodiano furbo, che la questione del raddoppio della base americana a Vicenza non è politica ma urbanistica. Il che non cambia la natura della questione. Che è certamente anche politica perché bisogna accettare pubblicamente che la nostra sovranità sia limitata, ma è anche una questione di soldi, di moltissimi soldi, che incassiamo per l'affitto e per la manutenzione.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …