Domenico Starnone sul nuovo libro di Marosia Castaldi

08 Febbraio 2007
Lettrici forti, lettori di un libro solo, scrittori, recensori oberati, passanti svagati della parola scritta, leggete questo libro di Marosia Castaldi, vi prego, non lo lasciate morire dopo le solite quattro settimane di agonia sui banchi primaverili delle librerie. Lo so che è lungo più di settecento pagine, stampate per altro non con caratteri da sillabario, ma fitte fitte di segnetti neri. Lo so che la punteggiatura ha poco a che fare con quella che vi hanno insegnato alle elementari. Lo so che non racconta disagi e felicità giovanili, liete storie audaci d'amore, trame gialle e nere e rosse con i servizi segreti che agiscono nell'ombra. Lo so che non c'è, romanzata con perizia, la ‟realtà italiana” come la si trova nei verbali di polizia, nei giornali e nei telegiornali. Ma, vi assicuro, c'è altro. Ed è in nome di quest'altro che vi prego di leggere Dentro le mie mani le tue, non dimenticando il sottotitolo: Tetralogia di Nightwater.
Ammetto che una preghiera può essere un artificio retorico, rischia persino di suonare come una parodia. Questa preghiera, invece, è proprio una preghiera. Mi sono deciso a scriverla perché, tra i libri di Marosia, quest'ultimo mi sembra il suo più coraggioso, il più rischioso e perciò il più bello. Lasciarlo da solo a cercare lettori mi è sembrato uno sfregio alla fatica di scriverlo e, soprattutto, alla fatica di scrivere libri veri, con vero dolore e vera passione per la vita e vero orrore per il suo contrario.
Vi chiedo, perciò, di entrarci piano piano, con cautela e rispetto. Finirete dentro un posto chiamato Nightwater. Marosia lo colloca in una curva di corso Gottardo a Milano, ma se lo cercate davvero, nelle mappe letterarie, vedrete che bisogna andare oltre la città di K, quella inventata da Agota Kristof, molto più oltre. Non arretrate di fronte a qualche punto o virgola che vi aspettereste e che invece non c'è, fate finta di niente e procedete.
Non siete tornati alla scrittura di sperimentazione nuova e stranuova che non raccontava quasi nulla. Marosia vi sta segnalando soltanto il respiro delle sue frasi. Quando avrete accordato il vostro fiato col suo, quando il suo ritmo sarà diventato il vostro per abitudine, baderete solo al racconto, che c'è, rigo dietro rigo, ed evoca mondi fantastici dettagliati, comunica emozioni forti.
Devo essere onesto però: il racconto non è di quelli a cui ci sta abituando - scrittori e lettori - il mercato planetario delle storie.
Riconoscerete, questo sì, un mucchio di cose: la letteratura alta e bassa, il cinema, i manuali scientifici, l'oscenità e la frase tornita, il fumetto, il cartone, i vangeli, la teologia più audace. Marosia riusa senza pregiudizio, senza fare la schizzinosa innamorata della belle lettere di una volta, ma anche senza sentirsi in obbligo di prendere a calci in faccia i lettori. Attenzione, però: qui il tempo narrativo non scorre, comunque non scorre come scorre di solito nei libri. In Nightwater il tempo fa mulinello intorno a due o tre eventi capitali, o a un'immagine, a un'emozione, a un colore, a un gesto, a un raggio di luce (era da moltissimo tempo che non si vedeva una tale intensa fantasiosa narrazione della luce) e si ingorga lì, come in un brutto sogno assai ben raccontato. Le frasi vengono giù a cascata, un salto apocalittico. Le parole cambiano, cambiano i nomi, ma l'oggetto del racconto non si muove, la vita è raccontata senza passare.
Nightwater, insomma, è la foce di una fiumana notturna di scrittura assoluta, che trascina tutto ciò che trova sul suo percorso: i vivi, i morti, un posto vuoto, un'abitudine, barchette-navi, pistole col tappo che uccidono davvero, uomini del comune che aggiustano caldaie, donne chiuse nello specchio, amanti, mozzi sessuomani, figlie di pezza, la propria morte in forma di donna col passeggino; e, insieme a tutto questo, l'io che reinventa la propria esperienza e batte e ribatte sui tasti del computer.
Lì, in quel posto, ogni cosa si aggroviglia, non passa oltre, diventa palla nella pancia. Dolore che non cessa. Calice che non si vorrebbe bere e invece no, bisogna. Roba che entra dalla bocca per poi essere scaricata nel cesso.
Roba che esce dalla bocca, parole, e può far male, più male di quella che era fatta per la latrina.
Qui sta il punto, l'anomalia, la novità di questo libro, e qui dovete decidervi. Marosia racconta un calvario di donna, racconta la sofferenza femminile a uno stato di raffinazione quasi insopportabile. Nightwater è un nightmare: un incubo che, per la sua verità, va al di là di qualsiasi racconto dell'orrore. La lunga catena di madri e di figlie, che escono ed entrano l'una dall'altra, l'una nell'altra - Maria Berganza, Rosa Berganza, Amelie, la madre della bambola di pezza, la bambola di pezza, l'io che si racconta mentre scrive, le sue figlie, tutte con le loro età diverse continuamente confuse, bambine, adulte, spose infelici, donne abbandonate, assassine assassinate, straziate dalle loro ossessioni autodistruttive, - è tesa sopra lo stesso martellante paesaggio di passione per la vita e paura-desiderio di morte.
Chiudo, torno a pregarvi. Vi prego. Leggete per spassarvela? Leggete per trovare conferma a quello che già sapete? Leggete per sentirvi eroi o eroine senza macchia e senza paura? Non volete neanche vagamente pensare che presto o tardi vi offriranno un calice imbevibile e chiederete che ve lo allontanino e nessuno ve lo allontanerà, è il vostro calice, vi tocca, non c'è niente da fare? Allora, per favore, cambiate abitudini almeno in questa occasione. Questo non è un testo di intrattenimento. Non è una storia che acquieta. È un'onda anomala che fa molto male, perché è vivo, lotta con la vita e per la vita. Lotta soprattutto per la sopravvivenza della letteratura. Se non gli diamo tempo e sguardo di lettori, vuol dire che peggio per noi, ci meritiamo quello che passa il convento.
Domenico Starnone

Dentro le mie mani le tue di Marosia Castaldi

‟Cominciai a scrivere questo libro in una fredda mattina d’inverno dopo essere passata per un parco vicino a casa mia pieno di alberi che levavano al cielo le loro braccia di scheletri magri svestiti delle foglie che la primavera li avrebbe ricoperti appena fosse uscito il nuovo sole Accanto scorre…