Una recensione di Tutti contenti

23 Luglio 2004
Come pensate ci si possa sentire a ritrovarsi improvvisamente senza alcun ricordo della propria infanzia, del proprio passato, eccetto le immagini del cappello di vostro padre lasciato appeso all'ingresso e la figura di vostra madre che sale le scale del collegio nel suo cappottino troppo stretto?
Paolo Di Stefano nel suo nuovo libro Tutti contenti, dà voce a Nino Motta, milanese sessantenne, tipografo pensionato, che ci racconta la storia della sua riscoperta del piacere della vita dopo anni di vuota sopravvivenza. L'impossibilità di costruirsi sulla base di solide fondamenta del passato, perso, come nel corso del libro si viene a scoprire, in seguito ad un trauma, mostra in modo radicale le ripercussioni che questo comporta a livello del rapporto con la famiglia, divenuta del tutto sorda, indifferente e cieca alla presenza di Nino, ma anche del rapporto che il protagonista ha con la sua esistenza i cui buchi neri sono diventati ormai insopportabili.
Così una semplice lite con la giovane figlia Alessia diventa l'occasione per partire per un viaggio, a Messina, dove il protagonista era stato in collegio durante il dopoguerra, ed è a questo punto che l'intreccio del libro si complica e i racconti si dischiudono ad una serie di richiami e riferimenti. Nino si estranea del tutto da sé e nei panni di un giornalista inviato per un servizio speciale intervista i vecchi compagni d'infanzia alla scoperta di un'identità su cui non riesce a far luce nel buio della mente. Non è semplice districarsi tra il racconto del passato sulla base delle testimonianze, le chiazze di ricordo che si impongono improvvisamente, e la descrizione delle sensazioni suscitate dalla cocente e vivida Sicilia contemporanea, che a loro volta si giustappongono a quelle dei ricordi di Nino o dei narratori. Tuttavia il senso di choc e disorientamento, certamente desiderato dall'autore, non disturba e anzi ben si accorda al caos che invade la mente del sessantenne stesso, che ascolta con pazienza le voci di quei compagni e solo a volte si rispecchia, con difficoltà, nelle storie che talvolta parlano anche di Nino Motta.
Di Stefano riesce a rendere con straordinario effetto l'idea di quest'uomo dimidiato, che tenta prima di ritrovare se stesso e poi di ricominciare una nuova vita, in particolare quando fa scoprire a Nino di essere stato addirittura un assassino; egli, comunque, non ha pagato la sua pena grazie all'intervento del factotum del collegio, che riesce a mettere tutti a tacere.
Ad un tratto, però, nella vita del nostro sessantenne si insinua una donna: Simona. Sicuramente non casuale è il fatto che la ragazza abbia la stessa età della figlia, ma allo stesso tempo si faccia scoprire tenera e sensuale amante. L'interesse di quest'ultima per Nino si nutre, almeno inizialmente, della curiosità di aiutarlo a scoprire il suo passato, infatti diventa la sua accompagnatrice, ma il suo ruolo è più importante di quanto si possa immaginare. Simona rappresenta un nuovo interesse per il passato del protagonista che continua le sue indagini per stare con lei, per nutrirla nei momenti d'intimità dei racconti che chiede avida con la sua bocca carnosa. Questa giovane rappresenta il riscatto dopo una vita in cui Nino non aveva mai potuto stabilire legami perché nessuno lo conosceva, e d'altronde neanche lui conosceva sé stesso. Tuttavia la sottile fotografia che Di Stefano fornisce dell' esistenza di quest'uomo conduce quasi inconsapevolmente il lettore a riflettere sulla propria vita e quella della società contemporanea, inghiottita come il figlio di Nino e il fidanzato di Alessia dai programmi Tv, dall'apatia e la noncuranza, o come i giovani che spesso il protagonista incontra e descrive, assorbiti dalla comunicazione sms, e le mode dettate dai potenti mass media.
Simona è diversa, bella, giovane, desidera solo ascoltare, il suo amore per un sessantenne nasce proprio quando questi riesce a colmare la lacuna del passato e a farsi conoscere.
Il ruolo fondamentale della salvaguardia della memoria e delle proprie origini, del passato, sono ancora una volta rivendicate ma in un modo nuovo, direi anche un po' difficile da individuare ad una lettura più superficiale, a cui si può essere indotti perché travolti dall'impeccabile scioltezza del linguaggio, che rivela la professione giornalistica del nostro autore, dalla piacevolezza dei numerosi aneddoti e racconti ambientati in una splendida, ma povera Sicilia del dopoguerra.
Progressivamente la memoria del protagonista diventa sempre più lucida, chissà, forse per saziare quella fanciulla catturata dall'interesse per la sua storia… Simona diventa la moglie innamorata di una persona viva, fatta di passato,di presente e di attesa fiduciosa di un futuro felice, che Nino non ha mai avuto; diventa i figli a cui egli narra le sue storie, facendogli rimpiangere di non aver raccontato loro neanche quel poco che ricordava dei suoi genitori, una mamma con il cappottino troppo stretto e il cappello di un papà lasciato nell'ingresso per motivi che si promettono svelarsi.
Amore, problemi, intrecci che si dipanano a partire da una trama che chiarisce fin dal principio i suoi intenti, pur preservandosi il piacere di piccanti colpi di scena, accompagnano temi di grande attualità e importanza in quest'opera di Di Stefano, capace di offrire al suo lettore sempre nuovi particolari e sfumature in una lettura piacevole, scorrevole ma non per questo priva di corposità.
Possiamo dire insomma che sia qui metaforicamente rappresentato il moderno smarrimento del senso della storia.

Tutti contenti di Paolo Di Stefano

Nino Motta, tipografo, abbandona Milano e la famiglia (una famiglia disperata e ostile) e torna a Messina, sotto le mentite spoglie del giornalista, per "indagare" sulla sua infanzia in collegio che, da sempre, è rimasta intrappolata da una memoria "a macchie", incerta, segnata da un misterioso tra…

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