Fabrizio Tonello: I giudici di Bush contro l'aborto

21 Aprile 2007
Dopo la sentenza della Corte suprema di tre giorni fa, è in pericolo il diritto all'interruzione della gravidanza per le donne americane? La risposta è no. Il diritto all'aborto non è in pericolo immediato perché la legge si riferisce solo a una piccolissima minoranza degli interventi praticati negli Stati uniti, meno dell'1%. Ma, secondo il ‟New York Times”, la sentenza ‟è la grande vittoria politica che il presidente Bush sperava di ottenere dai giudici conservatori da lui nominati, e compromette la credibilità e l'integrità della giustizia”. Il primo passo verso l'abolizione dell'aborto, commentano i repubblicani esultanti. ‟Un drammatico rifiuto di 40 anni di giurisprudenza e un attacco alle libertà civili” ha detto Hillary Clinton che insieme a Barack Obama ha criticato duramente la sentenza che impedisce di praticare l'aborto tardivo anche quando è a rischio la salute della donna.
È probabile, comunque, che il pronunciamento della Corte suprema metta l'interruzione della gravidanza al centro delle presidenziali dell'anno prossimo oscurando altri temi più favorevoli ai democratici come la guerra in Iraq. Per capire cosa sta succedendo oggi occorre risalire al 2003 quando il congresso a maggioranza repubblicana approvò una legge che vietava un metodo di aborto dal vivo noto come ‟aborto a nascita parziale” praticato nelle ultimissime settimane di gravidanza. Negli Stati uniti era, fino a ieri, consentito perché l'aborto è un diritto ancorato alla privacy della donna e quindi un diritto ‟fondamentale”, non condizionato al suo esercizio ai primi tre mesi della gravidanza come da noi. Questo è il risultato della sentenza ‟Roe v. Wade” del 1973 che costituzionalizzò il diritto a abortire in assenza di una legislazione federale. La sentenza del 1973 è da 34 anni la bestia nera dei repubblicani che hanno nominato ben sette dei nove giudici della Corte suprema ma non sono finora riusciti a farla cancellare.
Nel 1992 e nel 2000 vennero dichiarate incostituzionali due leggi che introducevano restrizioni al diritto all'aborto, in entrambi i casi con il voto determinante di Sandra Day O'Connor, un giudice nominato da Reagan ma decisa a difendere la sentenza del 1973. Oggi la composizione della Corte è cambiata e i due giudici conservatori sono stati coerenti con la loro filosofia giudiziaria che è quella di considerare l'aborto una questione politica non costituzionale e quindi di competenza del Congresso e non dei giudici. I candidati democratici alla presidenza hanno subito protestato ma il partito dovrebbe invece ripensare alla propria strategia in questa materia. Nell'ultimo terzo di secolo i democratici invece di impegnarsi nella società per costruire un consenso politico attorno alla questione si sono comodamente rifugiati dietro alla protezione della sentenza della Corte suprema.
Così facendo hanno lasciato il terreno della mobilitazione di massa agli oppositori dell'aborto rafforzando la loro immagine di partito lontano dai valori dei ‟comuni americani”. La comparsa di una nuova maggioranza nella Corte suprema mostra l'urgenza di una nuova strategia. I democratici, che oggi controllano tanto la Camera quanto il Senato, avrebbero interesse a costruire una maggioranza politica che approvi una legislazione di tipo europeo sull'interruzione della gravidanza. Questa legislazione avrebbe un consenso e una legittimità molto maggiori delle sentenze della Corte e permetterebbe di togliere ai repubblicani un tema che hanno cinicamente sfruttato fino a oggi per costruire le loro vittorie elettorali. Solo così, la legge approvata nel 2003 e ora convalidata dalla Corte suprema potrà essere abrogata.

Fabrizio Tonello

Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …