Google, fabbrica di spie e di ignoranti. Intervista a Tomás Maldonado e Ugo Volli
Ne abbiamo parlato con due esperti della comunicazione: il semiologo Ugo Volli (autore di Il libro della comunicazione) e Tomás Maldonado, autore del celebre Critica della ragione informatica.
Che il gigante di Mountain View viva sui ricavi pubblicitari non fa gridare allo scandalo Ugo Volli: ‟Mi sembra ovvio che ci sia un rovescio della medaglia: le aziende che offrono contenuti gratuiti vanno avanti con mezzi che consentono di guadagnare: come Mediaset, Google non vende indirizzi ai navigatori ma navigatori ai pubblicitari, e mi sembra una cosa esplicita. E altrettanto ovvio che Google oggi sia un luogo di potere”.
Un luogo di potere capace di violazioni della privacy colletti va, secondo il gruppo Ippolita.
Ma questo fa parte della società informatizzata, che ha un basso indice di privacy. Ovunque, col telefonino, con la carta di credito, con il navigatore satellitare, lasciamo delle tracce. Dunque credo inutile colpevolizzare un’azienda che comunque offre un servizio; più utile sarebbe una regolamentazione, dare più potere alle authorities, impedire la crescita eccessiva di un’azienda per aprire spazio alla concorrenza, chiedere che vengano cancellate le tracce con i propri dati, oppure esigere che non vengano usate senza consenso. La questione dunque è politica: se ci fosse il fascismo sarebbe oggi pressoché impossibile sottrarsi al controllo.
L’utente di Google si illude che la ricerca attraverso una parola chiave sia neutra e oggettiva.
Sappiamo che questo non è vero. La ricerca viene filtrata attraverso complessi algoritmi. Sarebbe allora interessante rendere pubblici questi filtri: sarebbe preoccupante se digitando ‟automobile” uscisse prima un marchio piuttosto che un altro. E un problema di regolamentazione della rete, complessivamente.
Ma anche un problema più generale di gestione delle informazioni, secondo Maldonado, che afferma: ‟Spesso viene scambiata la gestione delle informazioni con la gestione delle conoscenze. Vorrei introdurre il neologismo Googleare per intendere l’inventariare dati, che è altra cosa da sapere e conoscere. Purtroppo la scuola adotta la stessa ottica: si crede che distribuire computer nelle scuole significhi aprire strade sicure di accesso alla conoscenza”.
Bando a Google e ai computer nelle scuole?
Naturalmente no, ma la scuola dovrebbe aiutare a sviluppare la capacità critica. Il problema è che oggi nelle scuole regna una grande confusione culturale: si tende con estrema faciloneria al multitasking, ovvero a moltiplicare l’accesso all’informazione, ingenerando l’abitudine a frequentare molti mezzi contemporaneamente. In sé non è male ma se permanentemente uno vive in questo modo, si producono effetti neuronali che portano all’incapacità patologica di concentrarsi su un argomento, come accade in America, ormai con fenomeni patologici quasi di massa.