Giorgio Bocca: Perché piace tanto il catastrofismo

20 Maggio 2007
È piovuto per una settimana e il livello del Po è risalito di due metri, le navi incagliate nelle secche sotto Boreto sono ripartite per Cremona, il magistrato delle acque assicura che l'acqua potabile continuerà ad esserci per tutti. Ma i catastrofisti non mollano: "Sì è piovuto, ammettono, ma l'acqua non è arrivata alla falda, di neve sulle montagne ce n'è pochissima, l'estate sarà torrida, l'agricoltura soffrirà, i prezzi aumenteranno, arriveranno le malattie tropicali". Sul ‟Corriere” un titolo a cinque colonne: 'Ricoverato un lebbroso a Cinisello Balsamo'.
Ma perché il catastrofismo piace tanto alla gente? Perché in questo anno di disgrazia 2007 la grande e la piccola informazione, i grandi media e il passaparola, non la smettono un minuto di dire che moriremo presto di caldo o di freddo, di sete o di alluvioni, di terremoti o di eruzioni.
Che il mondo stia avvelenandosi ogni giorno, che lo spazio vitale si restringa, che per consolarci diamo notizia con sollievo che è stato scoperto dagli astronomi un pianeta simile alla Terra alla modesta distanza di vent'anni luce, che le città diventino inabitabili lo vediamo, lo sentiamo, ma quello che non riusciamo a capire, quello che non vogliamo ammettere è che questo sviluppo suicida siamo noi a volerlo, a renderlo più assassino.
Si svolgono proprio in questi giorni due tipi di incontri diplomatici. Quello fra coloro che possiedono la bomba atomica e vogliono conservare l'equilibrio del terrore e gli altri che non ne fanno parte, ma vogliono entrarci. La soluzione più logica per salvare il mondo da una guerra nucleare in cui non ci sarebbero sopravvissuti sarebbe che i potenti distruggessero i loro arsenali e che gli altri rinunciassero a crearne di nuovi. Ma questa soluzione non viene neppure messa in discussione: chi ha le bombe ne fabbrica altre e chi non le ha cerca di fabbricarle con la scusa della crisi energetica. E se ci riescono paesi come il Pakistan, l'India, la Corea del Nord, nazioni che devono ancora riuscire a dar da mangiare a tutti i loro abitanti, si assiste allo spettacolo demenziale delle folle dei derelitti e miserabili che applaudono festose perché il mito dello sviluppo suicida è inestirpabile e convive fra gli uomini con quello della sopravvivenza. E non c'è ragione che tenga. Le grandi città italiane stanno diventando invivibili perché occupate dalle automobili, i cittadini delle metropoli stanno spostandosi nelle provincie, gli urbanisti costruiscono grattacieli anche nella bassa padana per trovare una soluzione verticale all'impossibile sviluppo orizzontale, ma tutti celebrano come una vittoria nazionale il rilancio della Fiat che marcia festosa verso la produzione di tre milioni di auto l'anno.
Lo sviluppo che ammorba l'aria copre il mondo di immondezze, di malattie incurabili, di consumi di massa idioti, ma in valle Sesia e nella vicina Svizzera stanno per partire i lavori di una ferrovia a cremagliera che salirà in galleria sulle vette del Rosa, del Cervino e di altre montagne famose perché gli abitanti di alcuni villaggi alpini, poche migliaia di persone, vogliono partecipare anche loro al turismo di massa, allo sviluppo universale.
Il catastrofismo è di grande moda non solo perché i pericoli di autodistruzione sono in parte reali, ma perché fa comodo agli uomini che adorano lo sviluppo, che non sanno fermarsi davanti allo sviluppo suicida, di dare la colpa alla natura matrigna.
Dopo il secolo degli ingegneri che erano convinti di poter dominare la natura e il marxismo che esortava a combatterla e a vincerla, siamo al catastrofismo come giustificazione della nostra follia.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …