Giulietto Chiesa: Ucraina. Tra i due Viktor è poker al buio
28 Maggio 2007
La crisi ucraina sta raggiungendo un apice molto grave, che potrebbe sfociare in scontri armati ed avere come sbocco il collasso statale e l'unità della nazione. La rivolta di una parte delle milizie speciali di polizie, orchestrata da uomini fedeli al presidente Yushenko, non ha precedenti nella storia recente delle sovranità post-sovietiche. E il fatto che si verifichi in un paese delle dimensioni dell'Ucraina, in bilico tra le sollecitazioni egemoniche di Europa e Russia dovrebbe mettere in guardia tutti i protagonisti esterni sulla necessità di non essere trascinati in uno scontro drammatico per il controllo degli assetti geopolitici del continente.
Da dove viene la crisi e chi l'ha ispirata è più che evidente: il 2 aprile scorso il presidente Yushenko, l'eroe della ‟rivoluzione arancione” clamorosamente sconfitto nelle ultime elezioni parlamentari (che hanno creato le condizioni perché il suo avversario, Viktor Yanukovich riprendesse nelle sue mani il governo dell'Ucraina) firma un decreto di scioglimento della Rada. Le motivazioni della mossa, palesemente eversiva, nascondono la chiara volontà di organizzare elezioni di rivincita per le forze-occidentali. Si ritorna quindi a un braccio di ferro tra le ‟due Ucraine”: quella occidentale, di religione cattolica, che vuole andare in Europa e nella Nato, e quella orientale, di lingua russa e di religione ortodossa che, memore della sorte dei russi rimasti fuori dai confini dell'Unione sovietica dopo la disastrosa decisione di Boris Eltsin, di Kravchuk e Shuskevic (presidenti di Ucraina e Bielorussa) l'8 dicembre 1991, intende rimanere in una Ucraina legata ai destini della Russia odierna.
Il patto del rispetto reciproco delle regole di convivenza tra le due comunità e due prospettive politiche e strategiche è stato nuovamente rotto ieri. E potrebbe trattarsi di una rottura molto più grave delle precedenti. Viktor Yanukovich, il filo-russo, era stato estromesso dal potere da una ondata di protesta popolare, che si tradusse nel riconoscimento dei brogli elettorali. Viktor Yushenko era stato poi eletto a larga maggioranza dopo l'annullamento delle elezioni presidenziali del 2005. Ma, come si è detto, le rissose divisioni all'interno della rivoluzione arancione avevano provocato il collasso politico di quella coalizione e l'effetto era stato il ritorno in forza delle pulsioni filo-russe.
Mosca, che aveva sbagliato quasi ogni mossa negli anni precedenti, aveva trovato il tempo e il modo, anche usando la leva energetica, per ricostruire la sua influenza. L'Europa aveva benedetto (in nome di sicuri approvvigionamenti di gas e petrolio) un patto tra Yushenko e Yanukovich. Ma qualcuno, dall'esterno, ha soffiato sul fuoco che covava sotto la cenere e la decisione di Yushenko di sciogliere la Rada, non può essere stata presa in solitudine, pensando alla governabilità dell'Ucraina. La mano dei gemelli Kaszinski è visibile dietro la mossa e, dietro i due gemelli non è difficile scorgere quella del dipartimento di stato.
La risposta di Yanukovich e dei suoi alleati dell'Ucraina orientale è stata durissima. Il capo del governo ha dalla sua una solida maggioranza parlamentare. La Corte costituzionale, investita del compito di esprimere un giudizio, si è trovata esposta a pesantissime interferenze politiche da ambo le fazioni e dopo due mesi non ha ancora potuto esprimere un verdetto. E, in mancanza di questo verdetto, la stessa data di convocazione delle elezioni anticipate non ha potuto ancora essere presa. Il presidente, da una parte, a spingere per una rapida convocazione, convinto di poter vincere. Il governo, dalla parte opposta, non è disposto a concordare una data perché nuove elezioni potrebbero vedere evaporare una maggioranza parlamentare oggi in suo favore.
Nasce da questo stallo la rivolta di una parte delle milizie sotto la guida dello sconosciuto Oleksandr Kikhtenko, contro in comandi del ministro degli interni ucraino, Vassili Tsushko, fedele a Yanukovich. Al momento in cui scriviamo non è ancora nota l'entità della rivolta in termini numerici. Voci discordanti riferivano di tentativi di gruppi fedeli al governo di impedirne il procedere. A Kiev, nel frattempo, riprendevano convulsi i colloqui d'emergenza tra presidente e premier, alla presenza del presidente del parlamento Aleksandr Moroz e della ex pasionaria arancione Julia Timoshenko. Scontato l'immediato sostegno a Yushenko proveniente dalle capitali di Polonia, Estonia, Lettonia. Mentre Mosca ancora taceva ieri sera, dopo essere stata la prima a fare uscire la notizia della colonna ribelle con un dispaccio dell'agenzia Interfax della mattinata di ieri. Bruxelles ribadisce ciò che ha già detto dall'inizio dell'ultima crisi: si resti nell'ambito della legalità.
Ma Yushenko è già uscito dalla legalità e, semmai, si pone il problema di come farvelo ritornare. La tensione è alle stelle e ove si verificassero scontri armati gli effetti sarebbero catastrofici. Il Cremlino ha mostrato la sua fermissima determinazione a impedire che Kiev ‟passi di campo”. Difficile dire quali mosse verranno da Mosca nelle prossime ore, ma si può fin d'ora dire che Putin non accetterà nessun fatto compiuto. Ora sappiamo che il processo di normalizzazione democratica dell'Ucraina è assai lontano dall'essere compiuto, ben 16 anni dopo la proclamazione della sua indipendenza.
Da dove viene la crisi e chi l'ha ispirata è più che evidente: il 2 aprile scorso il presidente Yushenko, l'eroe della ‟rivoluzione arancione” clamorosamente sconfitto nelle ultime elezioni parlamentari (che hanno creato le condizioni perché il suo avversario, Viktor Yanukovich riprendesse nelle sue mani il governo dell'Ucraina) firma un decreto di scioglimento della Rada. Le motivazioni della mossa, palesemente eversiva, nascondono la chiara volontà di organizzare elezioni di rivincita per le forze-occidentali. Si ritorna quindi a un braccio di ferro tra le ‟due Ucraine”: quella occidentale, di religione cattolica, che vuole andare in Europa e nella Nato, e quella orientale, di lingua russa e di religione ortodossa che, memore della sorte dei russi rimasti fuori dai confini dell'Unione sovietica dopo la disastrosa decisione di Boris Eltsin, di Kravchuk e Shuskevic (presidenti di Ucraina e Bielorussa) l'8 dicembre 1991, intende rimanere in una Ucraina legata ai destini della Russia odierna.
Il patto del rispetto reciproco delle regole di convivenza tra le due comunità e due prospettive politiche e strategiche è stato nuovamente rotto ieri. E potrebbe trattarsi di una rottura molto più grave delle precedenti. Viktor Yanukovich, il filo-russo, era stato estromesso dal potere da una ondata di protesta popolare, che si tradusse nel riconoscimento dei brogli elettorali. Viktor Yushenko era stato poi eletto a larga maggioranza dopo l'annullamento delle elezioni presidenziali del 2005. Ma, come si è detto, le rissose divisioni all'interno della rivoluzione arancione avevano provocato il collasso politico di quella coalizione e l'effetto era stato il ritorno in forza delle pulsioni filo-russe.
Mosca, che aveva sbagliato quasi ogni mossa negli anni precedenti, aveva trovato il tempo e il modo, anche usando la leva energetica, per ricostruire la sua influenza. L'Europa aveva benedetto (in nome di sicuri approvvigionamenti di gas e petrolio) un patto tra Yushenko e Yanukovich. Ma qualcuno, dall'esterno, ha soffiato sul fuoco che covava sotto la cenere e la decisione di Yushenko di sciogliere la Rada, non può essere stata presa in solitudine, pensando alla governabilità dell'Ucraina. La mano dei gemelli Kaszinski è visibile dietro la mossa e, dietro i due gemelli non è difficile scorgere quella del dipartimento di stato.
La risposta di Yanukovich e dei suoi alleati dell'Ucraina orientale è stata durissima. Il capo del governo ha dalla sua una solida maggioranza parlamentare. La Corte costituzionale, investita del compito di esprimere un giudizio, si è trovata esposta a pesantissime interferenze politiche da ambo le fazioni e dopo due mesi non ha ancora potuto esprimere un verdetto. E, in mancanza di questo verdetto, la stessa data di convocazione delle elezioni anticipate non ha potuto ancora essere presa. Il presidente, da una parte, a spingere per una rapida convocazione, convinto di poter vincere. Il governo, dalla parte opposta, non è disposto a concordare una data perché nuove elezioni potrebbero vedere evaporare una maggioranza parlamentare oggi in suo favore.
Nasce da questo stallo la rivolta di una parte delle milizie sotto la guida dello sconosciuto Oleksandr Kikhtenko, contro in comandi del ministro degli interni ucraino, Vassili Tsushko, fedele a Yanukovich. Al momento in cui scriviamo non è ancora nota l'entità della rivolta in termini numerici. Voci discordanti riferivano di tentativi di gruppi fedeli al governo di impedirne il procedere. A Kiev, nel frattempo, riprendevano convulsi i colloqui d'emergenza tra presidente e premier, alla presenza del presidente del parlamento Aleksandr Moroz e della ex pasionaria arancione Julia Timoshenko. Scontato l'immediato sostegno a Yushenko proveniente dalle capitali di Polonia, Estonia, Lettonia. Mentre Mosca ancora taceva ieri sera, dopo essere stata la prima a fare uscire la notizia della colonna ribelle con un dispaccio dell'agenzia Interfax della mattinata di ieri. Bruxelles ribadisce ciò che ha già detto dall'inizio dell'ultima crisi: si resti nell'ambito della legalità.
Ma Yushenko è già uscito dalla legalità e, semmai, si pone il problema di come farvelo ritornare. La tensione è alle stelle e ove si verificassero scontri armati gli effetti sarebbero catastrofici. Il Cremlino ha mostrato la sua fermissima determinazione a impedire che Kiev ‟passi di campo”. Difficile dire quali mosse verranno da Mosca nelle prossime ore, ma si può fin d'ora dire che Putin non accetterà nessun fatto compiuto. Ora sappiamo che il processo di normalizzazione democratica dell'Ucraina è assai lontano dall'essere compiuto, ben 16 anni dopo la proclamazione della sua indipendenza.
Giulietto Chiesa
Giulietto Chiesa (1940) è giornalista e politico. Corrispondente per “La Stampa” da Mosca per molti anni, ha sempre unito nei suoi reportage una forte tensione civile e un rigoroso scrupolo …