Guido Piccoli: Colombia. Betancourt, Sarkozy, le Farc. Il triplo salto mortale di Uribe
05 Giugno 2007
Dalle parti di Macondo, la confusione tra realtà e finzione è sempre stata grande. Non a caso, la terra che ha dato i natali a García Márquez si è scelta come presidente Alvaro Uribe, un uomo autoritario al limite del fanatismo, istintivo e lunatico, tanto spaccone da sembrare quasi patetico.
L'ultimo esempio di ‟realismo magico” colombiano è la scarcerazione di qualche centinaio di guerriglieri allo scopo di liberare la cinquantina di sequestrati delle Farc, tra i quali la leader ecologista Ingrid Betancourt. Una notizia, rimbalzata in tutto il mondo, che, in realtà, è una non-notizia, visto che nessuno dei suoi elementi è vero.
Primo: in seguito al sorprendente annuncio di Uribe dell'11 maggio scorso, non è stato ancora liberato nessun detenuto, ma solo il trasferimento di circa 200 reclusi da un carcere all'altro, in un tourbillon finalizzato alla sua trasmissione mediatica. Secondo: che i ‟beneficiati” siano guerriglieri lo dice il governo, mentre per le Farc, che hanno rsepinto ‟la farsa” di Uribe, sono ‟disertori”, ‟delinquenti comuni” o ‟semplici civili accusati di ribellione”. Di fatto, nessuno conosce la loro identità.
Ma ancora più fantasioso è il nesso tra questo andirivieni di detenuti e la liberazione della Betancourt e degli altri compagni di sventura. Il personaggio chiave sarebbe Rodrigo Granda, spacciato per ‟ministro degli Esteri” delle Farc e in carcere dal 2005, dopo il sequesto a Caracas che rischiò la rottura diplomatica Uribe- Chávez.
A lui si pensa di concedere un lasciapassare per andare a Parigi da Sarkozy e anche per addentrarsi nella selva per parlare con Tirofijo in persona. C'è un ‟però” in questa storia: Granda non ci sta. Il penoso viavai nel supercarcere di Cómbita di personaggi influenti, tra i quali il ‟Commissario per la pace” Luis Carlos Restrepo, non l'ha convinto a uscire di prigione, prestandosi al gioco d'azzardo del presidente. Come scrive il settimanale Semana, ‟la scommessa di Uribe è ambiziosa, ma anche rischiosa: un triplo salto mortale, senza la certezza che di avere una rete di protezione”.
E questo succede mentre le Farc, irremovibili, sembrano in grado di dettare le condizioni di un affaire sempre più internazionale. A Tirofijo non interessa tanto la liberazione dei sequestrati e nemmeno del migliaio di guerriglieri (più o meno dichiarati), ma una vittoria politica nei confronti del governo di Bogotà - che dovrebbe finalmente ammettere l'esistenza di un ‟conflitto interno” nel paese -, e anche di quello di Washington, che dovrebbe accettare lo scambio tra i tre agenti, fatti prigionieri dopo l'abbattimento del loro aereo nel 2003, e i due leader guerriglieri estradati negli Usa, Simón Trinidad e Sonia.
Dalle montagne colombiane, la Comandancia guerrillera assiste compiaciuta alle contorsioni di Uribe, che dal 2002 ha cambiato almeno una ventina di volte idea sul cosiddetto ‟scambio umanitario”: solo il 19 maggio scorso, aveva ordinato paonazzo ai suoi generali di ‟liberare con la forza Ingrid Betancourt”. Un ordine che, se aveva irritato il neo-presidente Sarkozy (la Betancourt è anche cittadina francese), aveva fatto sorridere buona parte dei colombiani, ormai avvezzi alle fanfaronate dell'ospite di Palacio Nariño, costretto a montare show come quello di questi giorni, per nascondere la sua incapacità di eliminare la guerriglia (come promette da 5 anni).
In Colombia sono sempre di più i commentatori che si chiedono, anche con una certa preoccupazione, cosa passi nel cervello di Uribe. L'unico risultato delle sue ultime mosse è la scomparsa, sui media, dello scandalo della ‟para-politica” che ha colpito, in questi mesi, decine di suoi soci, amici e seguaci. E, anche se non voluta, la messa a fuoco del ‟problema Betancourt”, eletto come una priorità da Sarkozy. Non è detto che discretamente, dietro il sipario dello show uribista, qualcosa non si muova sul serio per la sua soluzione.
L'ultimo esempio di ‟realismo magico” colombiano è la scarcerazione di qualche centinaio di guerriglieri allo scopo di liberare la cinquantina di sequestrati delle Farc, tra i quali la leader ecologista Ingrid Betancourt. Una notizia, rimbalzata in tutto il mondo, che, in realtà, è una non-notizia, visto che nessuno dei suoi elementi è vero.
Primo: in seguito al sorprendente annuncio di Uribe dell'11 maggio scorso, non è stato ancora liberato nessun detenuto, ma solo il trasferimento di circa 200 reclusi da un carcere all'altro, in un tourbillon finalizzato alla sua trasmissione mediatica. Secondo: che i ‟beneficiati” siano guerriglieri lo dice il governo, mentre per le Farc, che hanno rsepinto ‟la farsa” di Uribe, sono ‟disertori”, ‟delinquenti comuni” o ‟semplici civili accusati di ribellione”. Di fatto, nessuno conosce la loro identità.
Ma ancora più fantasioso è il nesso tra questo andirivieni di detenuti e la liberazione della Betancourt e degli altri compagni di sventura. Il personaggio chiave sarebbe Rodrigo Granda, spacciato per ‟ministro degli Esteri” delle Farc e in carcere dal 2005, dopo il sequesto a Caracas che rischiò la rottura diplomatica Uribe- Chávez.
A lui si pensa di concedere un lasciapassare per andare a Parigi da Sarkozy e anche per addentrarsi nella selva per parlare con Tirofijo in persona. C'è un ‟però” in questa storia: Granda non ci sta. Il penoso viavai nel supercarcere di Cómbita di personaggi influenti, tra i quali il ‟Commissario per la pace” Luis Carlos Restrepo, non l'ha convinto a uscire di prigione, prestandosi al gioco d'azzardo del presidente. Come scrive il settimanale Semana, ‟la scommessa di Uribe è ambiziosa, ma anche rischiosa: un triplo salto mortale, senza la certezza che di avere una rete di protezione”.
E questo succede mentre le Farc, irremovibili, sembrano in grado di dettare le condizioni di un affaire sempre più internazionale. A Tirofijo non interessa tanto la liberazione dei sequestrati e nemmeno del migliaio di guerriglieri (più o meno dichiarati), ma una vittoria politica nei confronti del governo di Bogotà - che dovrebbe finalmente ammettere l'esistenza di un ‟conflitto interno” nel paese -, e anche di quello di Washington, che dovrebbe accettare lo scambio tra i tre agenti, fatti prigionieri dopo l'abbattimento del loro aereo nel 2003, e i due leader guerriglieri estradati negli Usa, Simón Trinidad e Sonia.
Dalle montagne colombiane, la Comandancia guerrillera assiste compiaciuta alle contorsioni di Uribe, che dal 2002 ha cambiato almeno una ventina di volte idea sul cosiddetto ‟scambio umanitario”: solo il 19 maggio scorso, aveva ordinato paonazzo ai suoi generali di ‟liberare con la forza Ingrid Betancourt”. Un ordine che, se aveva irritato il neo-presidente Sarkozy (la Betancourt è anche cittadina francese), aveva fatto sorridere buona parte dei colombiani, ormai avvezzi alle fanfaronate dell'ospite di Palacio Nariño, costretto a montare show come quello di questi giorni, per nascondere la sua incapacità di eliminare la guerriglia (come promette da 5 anni).
In Colombia sono sempre di più i commentatori che si chiedono, anche con una certa preoccupazione, cosa passi nel cervello di Uribe. L'unico risultato delle sue ultime mosse è la scomparsa, sui media, dello scandalo della ‟para-politica” che ha colpito, in questi mesi, decine di suoi soci, amici e seguaci. E, anche se non voluta, la messa a fuoco del ‟problema Betancourt”, eletto come una priorità da Sarkozy. Non è detto che discretamente, dietro il sipario dello show uribista, qualcosa non si muova sul serio per la sua soluzione.
Guido Piccoli
Guido Piccoli, giornalista e sceneggiatore, ha vissuto a Bogotá gli anni più caldi della "guerra ai narcos". Sulla Colombia ha scritto la biografia di Escobar, Pablo e gli altri (Ega …