Marina Forti: India. Nuove proteste nella valle di Narmada
21 Giugno 2007
Oggi sono 16 giorni da quando alcune migliaia di persone hanno cominciato un sit-in nella cittadina di Khandwa, capoluogo di un remoto distretto sul fiume Narmada, stato del Madhya Pradesh, in India. Tra di loro anche 9 persone che digiunano ‟a tempo indefinito” da 14 giorni, e la loro salute comincia a risentirne. Sono gli sfollati di due dighe ancora in costruzione sul fiume Narmada, quelle di Indira-Sagar e Omkareshwar: rivendicano ‟adeguata risistemazione, riabilitazione e risarcimenti per la terra che stanno perdendo, sommersa man mano che si riempiono gli invasi artificiali creati dalle due dighe”, leggiamo in un comunicato del Narmada Bachao Andolan (‟Movimento per la salvezza di Narmada”, o Nba), che si batte da ormai vent'anni contro le dighe sul Narmada. Progetto imponente: una trentina di grandi dighe su un fiume lungo 1.300 chilometri, in parte per usi idroelettrici, in parte per alimentare i sistemi di irrigazione e di acqua potabile più a valle, nell'arido stato del Gujarat (che il fiume taglia prima di sfociare nel mare arabico).
È una vecchia storia, quella delle dighe sul Narmada: in parte sono già costruite; la più grande, Sardar Sarovar, ha costretto a sfollare oltre 350 mila persone, e se si aggiungono quelle a cui ha tolto la terra e stravolto la vita si arriva a circa mezzo milione, sostengono gli attivisti del Nba. Ogni passaggio della costruzione è stato accompagnato da polemiche, proteste, ricorsi legali, sentenze della Corte Suprema. L'Alta corte ha stabilito ad esempio che il consorzio costruttore (Narmada Hydro Development Corporation) deve risistemare e risarcire i futuri sfollati, con terra a compensare quella perduta, prima che i loro villaggi, case e campi siano sommersi, e poi che gli sfollati hanno diritto a un tenore di vita uguale o migliore di quello perduto.
Ora gli sfollati e gli attivisti del Narmada Bachao Andolan si appigliano a queste ordinanze. La diga di Omkareshwar ad esempio è stata completata in anticipo sulla previsione (doveva essere termninata in ottobre), e il suo invaso si sta riempiendo proprio ora: le piogge monsoniche arrivano tra maggio e giugno ed è ora, quando i fiumi si gonfiano e riempiono gli invasi artificiali, che si vede quanti nuovi villaggi vengono sommersi. Il Nba accusa il consorzio costruttore di aver ottenuto la licenza a chiudere la diga minimizzando i numeri degli sfollati, e ignorando molti dei villaggi che proprio in questi giorni si ritrovano a mollo. Gran parte degli sfollati non è riuscita a comprare terra su cui trasferirsi, e l'80 percento di queste famiglie sono piccoli agricoltori di popolazioni native (adivasi), o harijan (‟fuoricasta”, intoccabili), o altri settori estremamente poveri e marginali. ‟È chiaro che la costrizione a sfollare ha spinto queste persone sull'orlo della pauperizzazione totale”, protesta il Nba. Le accuse sono confermate dall'indagine indipendente su 429 famiglie di sfollati di un'altra diga, la Indira Sagar Pariyojana, che ora vivono in diversi siti di ‟ricolonizzazione”, governativi e non. Condotta da alcuni universitari di Delhi, Mumbai e Bangalore, l'indagine ha concluso che le infrastrutture fornite sono insufficienti e la maggioranza delle famiglie ha speso tutti i soldi ricevuti in risarcimento per comprarsi nuovi appezzamenti di terra, senza poter fare nessun investimento produttivo, così che la gran parte ha perso metà o più delle terre coltivabili che aveva. Ne è conseguito per tutti un crollo del reddito, a volte dimezzato; la popolazione di braccianti senza terra è aumentata del 67%, ma non sono aumentate le possibilità di lavoro agricolo. Molte delle nuove sistemazioni sono lontano dalle scuole, così anche la frequenza scolastica è crollata. Né hanno vicino foreste e pascoli. Segnalano poi la corruzione rampante che ha accompagnato la distribuzione dei risarcimenti in denaro.
Per tutto questo migliaia di persone continuano il loro sit-in a Khandwa, il remoto capoluogo di distretto, nuovo episodio di una battaglia infinita.
È una vecchia storia, quella delle dighe sul Narmada: in parte sono già costruite; la più grande, Sardar Sarovar, ha costretto a sfollare oltre 350 mila persone, e se si aggiungono quelle a cui ha tolto la terra e stravolto la vita si arriva a circa mezzo milione, sostengono gli attivisti del Nba. Ogni passaggio della costruzione è stato accompagnato da polemiche, proteste, ricorsi legali, sentenze della Corte Suprema. L'Alta corte ha stabilito ad esempio che il consorzio costruttore (Narmada Hydro Development Corporation) deve risistemare e risarcire i futuri sfollati, con terra a compensare quella perduta, prima che i loro villaggi, case e campi siano sommersi, e poi che gli sfollati hanno diritto a un tenore di vita uguale o migliore di quello perduto.
Ora gli sfollati e gli attivisti del Narmada Bachao Andolan si appigliano a queste ordinanze. La diga di Omkareshwar ad esempio è stata completata in anticipo sulla previsione (doveva essere termninata in ottobre), e il suo invaso si sta riempiendo proprio ora: le piogge monsoniche arrivano tra maggio e giugno ed è ora, quando i fiumi si gonfiano e riempiono gli invasi artificiali, che si vede quanti nuovi villaggi vengono sommersi. Il Nba accusa il consorzio costruttore di aver ottenuto la licenza a chiudere la diga minimizzando i numeri degli sfollati, e ignorando molti dei villaggi che proprio in questi giorni si ritrovano a mollo. Gran parte degli sfollati non è riuscita a comprare terra su cui trasferirsi, e l'80 percento di queste famiglie sono piccoli agricoltori di popolazioni native (adivasi), o harijan (‟fuoricasta”, intoccabili), o altri settori estremamente poveri e marginali. ‟È chiaro che la costrizione a sfollare ha spinto queste persone sull'orlo della pauperizzazione totale”, protesta il Nba. Le accuse sono confermate dall'indagine indipendente su 429 famiglie di sfollati di un'altra diga, la Indira Sagar Pariyojana, che ora vivono in diversi siti di ‟ricolonizzazione”, governativi e non. Condotta da alcuni universitari di Delhi, Mumbai e Bangalore, l'indagine ha concluso che le infrastrutture fornite sono insufficienti e la maggioranza delle famiglie ha speso tutti i soldi ricevuti in risarcimento per comprarsi nuovi appezzamenti di terra, senza poter fare nessun investimento produttivo, così che la gran parte ha perso metà o più delle terre coltivabili che aveva. Ne è conseguito per tutti un crollo del reddito, a volte dimezzato; la popolazione di braccianti senza terra è aumentata del 67%, ma non sono aumentate le possibilità di lavoro agricolo. Molte delle nuove sistemazioni sono lontano dalle scuole, così anche la frequenza scolastica è crollata. Né hanno vicino foreste e pascoli. Segnalano poi la corruzione rampante che ha accompagnato la distribuzione dei risarcimenti in denaro.
Per tutto questo migliaia di persone continuano il loro sit-in a Khandwa, il remoto capoluogo di distretto, nuovo episodio di una battaglia infinita.
Marina Forti
Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …