Gianni Mura: Contador oltre i sospetti, mai un finale a tre così

30 Luglio 2007
A un certo punto sembrava che potesse succedere di tutto, invece le posizioni restano quelle, ma molto ravvicinate. Un record, per dirla tutta. Mai prima di quest’anno, in una grande corsa a tappe, i primi tre alla fine erano racchiusi in 31’’. Ancora meno che nel giro del ‘74, con Merckx, Gibi Baronchelli e Gimondi stretti in 33’’. La media di Leipheimer (53,081) è la quarta di tutti i tempi. La precedono i 54,545 di Lemond nell’89, quando strappò il Tour a Fignon per 8’’(minimo scarto del vincitore sul secondo), i 54,361 di Millar a Nantes nel 2003. Lì i chilometri erano 49 e l’epo viaggiava mica male, come confessò poi lo stesso Millar, che adesso fa da testimonial al ciclismo «clean». Poi si considera un 53,986 di Armstrong a Mulhouse nel 2000, su 58,5 km. Molto più corta la tappa vinta da Lemond (24,5). Queste classifiche tengono conto delle crono individuali lunghe più di 20 km. Che questa media stratosferica la realizzi Levi Leipheimer, nato nel Montana, figlio di un ottimo sciatore e sciatore a sua volta, un grande avvenire dietro le spalle, un regolarista un po’grigio, di questi tempi può sembrare sospetto. «Spero solo che ci sia vento» aveva detto Cadel Evans alla vigilia. Infatti il vento c’è, fin dalla partenza da Cognac, ed è vento alle spalle, e dopo metà percorso verrà di tre quarti, dalla destra. Evans se lo augurava contrario, ritenendo di avere più benzina di Contador, ma visto l’esito della crono credo che sarebbe rimasto secondo, con la differenza di Leipheimer sul gradino più alto. Cognac è una graziosa cittadina che molti italiani pronunciano, come il liquore, con l’accento sulla o, ove non ricorrano al detestabile diminutivo (mi dia un cognacchino). Di qui si parte. In passato si arrivava, per commercio: parlo delle famiglie storiche del distillato: Martel nel 1720, Martin nel 1724, Hennessy nel 1765, Hone nel 1763, ma solo nel 1891 il distillato prende nome di cognac. Da quando ho ricevuto un depliant da questa graziosa cittadina in cui mi si invitava a degustarlo durante il pranzo, un po’allungato con l’acqua, come piace tanto ai giapponesi, l’ho squalificato per quindici anni. Non è una grande rinuncia, ho sempre preferito il Bas Armagnac, meno piacione e più selvatico. Bisogna pure schierarsi, come ai tempi di Ettore contro quel dopato di Achille. In quello che s’annunciava come un duello e poi diventa una serie di duelli, nessuna partecipazione emotiva. Vinca chi può. Però, accidenti, che altalena di emozioni, che scambio di ruoli. Evans dà la caccia a Contador ma Leipheimer dà la caccia a Evans e, a un certo punto, potrebbe fare bingo. Dopo 17,5 km, al primo punto di rilevamento cronometrico, Leipheimer, che mulina un 55x11 ha ripreso 14’’a Evans, distante 59’’, ed Evans 22’’a Contador, più forte col suo 1’50’’di margine. Sull’ammiraglia, a fianco di Bruyneel, c’è Lance Armstrong, che sta lavorando (ed è a buon punto) per trovare un nuovo sponsor ai Discovery. Dal ‘99 in qua Bruyneel ha vinto tutti i Tour, tranne quello di Landis (o di Pereiro), e Landis era uno della banda. Contador è nervoso, lo si nota già durante il riscaldamento. «Lui ha tutto da perdere, io ho tutto da guadagnare» aveva sintetizzato Evans. Contador si fa il segno di croce e parte con un rapporto più agile rispetto agli altri due. Sa che può perdere fino a 1,5 secondi a chilometro. Se appena ne perde 2, adios muchachos. E’un doppio braccio di ferro. Che intanto il tempo migliore sia del terrificante Karpets non importa a nessuno. Bisognerà aspettare fino alle ultime pedalate di Contador, perché l’arrivo è in leggera salita e chi ha dato tutto può anche piantarsi. Durante lo svolgimento della crono, all’arrivo, c’è un uomo che fa il giro delle sette chiese, cioè delle sette televisioni. E’Pat McQuaid, presidente dell’Uci, che i capi del Tour, con una pomposità che non si vedeva dai tempi del vecchio Goddet, hanno definito persona non particolarmente gradita, anche se è evidente che non possono farlo sbranare dai cani né vederlo ardere sulla piazza del mercato. Il grande strappo è consumato. L’anno prossimo sarà Dick Pound con l’antidoping francese a gestire i controlli. L’Uci strepiterà, minaccerà di sanzioni pesantissime gli scissionisti (Giro e Vuelta naturalmente stanno col Tour) e studierà il modo di calare le brache con un minimo di dignità. La corsa. Al km 35 Evans ha ripreso 54’’alla maglia gialla, ma Leipheimer ne ha ripresi 35’’a lui. Evans è uno che in gruppo si fa gli affari suoi, non sopporta i fumatori, come letture va dagli albi di Tintin ai libri di Steinbeck, gli piacciono le macchine da collezione (ha una Mustang) e viene dalla mountain bike, come Rasmussen. In questa specialità ha vinto la Coppa del mondo nel ‘98 e nel ‘99 e s’è piazzato 7º alle Olimpiadi di Atlanta e 9º a quelle di Atene. Il suo ritmo è una via di mezzo tra Leipheimer e Contador, buono ma non ottimo. «Oggi non mi sentivo al cento per cento, anche se non sono andato male. Il mio Tour credo di averlo perso sul Peyresourde». Comunque il suo è il miglior piazzamento di un australiano a Parigi. Phil Anderson aveva collezionato due 5º posti nell’82 e ‘85. Evans ha per allenatore (allenatore, non preparatore, lui ci tiene alla distinzione) Aldo Sassi, varesino. E non ha mai avuto problemi con l’antidoping, questo va detto. Va a finire che Contador salva la maglia gialla per 23’’e Evans il secondo posto per 8’’. Tutti e tre i duellanti avevano informazioni fresche, da compagni impegnati in precedenza. I Discovery da Hincapie e Popovych, Evans da Horner. La seconda parte del tracciato, con più ondulazioni, ha consentito a Contador e Evans di limitare i danni sullo scatenato Leipheimer, che dopo dieci anni da professionista ha ottenuto ieri la vittoria più importante. Prima, c’era stato un 4º posto alla Vuelta del 2001 e quest’anno la vittoria nel Giro di California e in quello della Georgia. In teoria, 23’’sono annullabili in una tappa, sia pure breve. Ma non succede quasi mai che si cambi maglia l’ultimo giorno, quando non c’è una crono di mezzo. Accadde solo nel ‘47, quando l’italofrancese Pierre Brambilla fu beffato da Robic. Ma erano altri tempi.

Gianni Mura

Gianni Mura (Milano 1945). Studi classici, entra alla “Gazzetta dello Sport” nel 1964. Giornalista professionista dall’aprile del ’67. Altre testate: “Corriere d'informazione” (72/74), “Epoca” (74/79), “L'occhio” (79/81). Inviato di “Repubblica” …